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L’utopia di Agape per il mondo

Da Riforma
di Claudio Geymonat e Sara Tour

Intervista alla direttora uscente e a quella entrante del Centro ecumenico di Prali (To)

Cambio di direzione al Centro ecumenico Agape a Prali (To). Lucia Leonardi lascia l’ incarico dopo tre anni e a prendere il suo posto è la pastora luterana Adriana Florea.

Le abbiamo incontrate entrambe a Torre Pellice (To), durante i giorni del Sinodo delle chiese valdesi e metodiste che chiude oggi 25 agosto.

«Sono entrata in direzione nell’estate 2020, purtroppo in piena pandemia – ci racconta Leonardi – ed è stato ovviamente difficile comprendere subito e a pieno il lascito di relazioni nazionali e internazionali che le direzioni precedenti avevano instaurato o consolidato.

Il primo anno dunque, con le vice direttore di allora Valeria Lucenti e Sara Marta Rostagno abbiamo cercato di contenere il danno, tenere aperto il più possiible, valutare ogni due settimane con i comitati cosa si potesse o non potesse fare, regolamentare il centro alla luce delle disposizioni sanitarie che di volta in volta venivano promulgate.

Non appena è stato possibile abbiamo immaginato come poter continuare a organizzare i campi, che sono le nostre attività principali, per tentare di mantenere una continuità con quanto sempre fatto. Piano piano abbiamo ripreso a lavorare al meglio, cercando in primis di alimentare le reti di persone che collaborano con il centro ecumenico, che prestano il proprio servizio a titolo volontario, per curare quindi questi rapporti, far sì che per loro partecipare fosse di nuovo piacevole , un arricchimento anche per loro che sono il motore di Agape. Posso dire che sono stati tre anni complessi, e sono felice di averli fatti, ne esco arricchita e spero che l’apporto che abbiamo dato, insieme con Nataly Plavan che è stata vice direttora degli ultimi due anni, abbia fatto sì che siano perdurati i rapporti con il territorio e con gli organismi internazionali con cui Agape già collaborava, e possa anche aver arricchito il Centro di nuove collaborazioni. Spero che sia almeno un piccolo lascito. Agape è un luogo di incontro per giovani adulti e adulte, ed è importante che rimanga un centro internazionale. L’aspetto dell’arricchimento che porta alle e ai giovani è aspetto fondamentale da mantenere».

Adriana Florea proviene dalla Chiesa evangelica di confessione augustana di Romania e dal 1° settembre sarà ufficialmente la nuova direttora di Agape. La sua è una lunga storia di avvicinamento al Centro Ecumenico.

«Arrivo ad Agape dal 2007, sono quindi una agapina storica, campo lavorista, poi parte dello staff per campi teologici, poi nel campo lavoro, varie esperienze che credo adesso serviranno per la mia direzione. Sono arrivata a Agape proprio durante i miei studi da pastora. Mi aspetto di portare avanti ancora questa comunità che è molto bella e se possibile rendere ancora più rilevante anche per il mondo “fuori” ciò di cui si parla e discute ad Agape. La nostra “utopia” agapina va portata quindi anche un po’ fuori e così il mondo può diventare anche migliore».

Quale miglior slogan e auspicio per una nuova avventura.

Botta e risposta con Giovanni Bernardini

Mettersi dalla parte storta della storia

 

Sinodo valdese, “siamo piccoli ma senza paura”

di Agenzia Nev

 

Si è chiuso oggi, venerdì 25 agosto, il Sinodo valdese. Circa 180 deputati e deputate da tutta Italia hanno discusso da domenica 20 agosto della vita delle chiese, dell’organizzazione, dei temi e delle istanze più significative per i protestanti.

Sono state elette le cariche degli organi esecutivi della chiesa valdese.

Alla Tavola valdese, l’organo di governo, oltre alla moderatora Alessandra Trotta, sono stati eletti Erika Tomassone (vice moderatora), Ignazio Di LecceWilliam JourdanUlf Hermann Koller, Dorothea MüllerAndrea Sbaffi. Presidente per l’Opera per le chiese evangeliche metodiste in Italia (OPCEMI): riconfermato il pastore Luca Anziani. Al consiglio della Facoltà valdese di teologia sono stati riconfermati Lothar Vogel (decano) ed Eric Noffke (vicedecano). La pastora battista Francesca Nuzzolese è stata eletta alla cattedra di teologia pratica, la prima donna in questo ruolo. Il pastore Francesco Sciotto è stato riconfermato alla presidenza della Commissione sinodale per la diaconia (CSD/Diaconia valdese).

Al termine del Sinodo si è svolta la consueta conferenza stampa di chiusura. “L’aggettivo “piccoli” è risuonato diverse volte in queste giornate di Sinodo, con spirito diverso, talvolta in contrapposizione. Sappiamo che l’elemento della crescita numerica non è necessariamente misura della qualità evangelica, che l’adesione di massa non dà vita necessariamente a comunità sane – ha dichiarato la diacona Alessandra Trotta, moderatora della Tavola valdese, nel suo intervento conclusivo -. Ma dobbiamo saperci dire, con onestà, anche guardando alla realtà delle nostre comunità, che nemmeno ogni piccolezza è segno di coerenza e qualità evangelica. Una comunità che sa esprimere fino in fondo ed in modo autentico il senso del vivere in Gesù Cristo, che sa esprimere una fede che, pure in vasi di coccio nella fragilità ed imperfezione di tutto ciò che è umano, mantiene la consapevolezza gioiosa della potenza della Parola, ne sa rendere la freschezza che tocca la vita reale delle persone, raggiungendole in modo significativo e rilevante nei bisogni più intimi e concreti, una comunità che sa offrirsi come luogo di accoglienza, guarigione, relazioni rinnovate, emancipazione, solidarietà, di amore, di speranza, cresce“.

Tra i temi discussi, l’accoglienza dei migranti, con l’impegno dei corridoi umanitari e di altre esperienze solidali su tutto il territorio, la pace, i diritti delle persone, la sanità pubblica, il no alla criminalizzazione della gestazione per altri e la tutela dei bambini e delle bambine, oltre che di tutti i tipi di famiglie. La serata pubblica del Sinodo, che si è svolta lunedì sera, ha avuto al centro del dibattito le tematiche di genere, con un confronto su “Donne nello spazio pubblico”. Il Sinodo ha anche accolto diverse presenze di esponenti di chiese di altri Paesi, da tutta Europa e non solo, oltre che personalità del mondo ecumenico che hanno portato il loro saluto all’assemblea.

Novità di quest’anno anche la prima edizione del “Sinodo dei bambini”, al quale hanno partecipato 16 bambine e bambini, figlie e figli dei delegati e dei pastori e delle pastore presenti a Torre Pellice.

Gestazione per altri, Sinodo valdese: no alla criminalizzazione

Rispetto a questi temi è stato elaborato un documento dalla Commissione per i problemi etici posti dalla scienza (una commissione ad hoc delle chiese battiste, metodiste e valdesi, formata da teologi, medici e scienziati), che ora sarà posto al vaglio e all’approfondimento delle chiese locali.

Gestazione per altri e diritti dei bambini tra i temi del Sinodo valdese, che si chiude oggi a Torre Pellice. È stato approvato dall’aula sinodale, oggi, venerdì 25 agosto, un ordine del giorno in cui si esprime grande preoccupazione per politiche che negano i diritti ai bambini e alle bambine già nate.

Nell’ordine del giorno i firmatari e le firmatarie, deputati e deputate del Sinodo, dicono no alla criminalizzazione di qualsiasi forma di gestazione per altri, condannando le norme che definiscono la GPA un reato universale.

Rispetto a questi temi è stato elaborato un documento dalla Commissione per i problemi etici posti dalla scienza (una commissione ad hoc delle chiese battiste, metodiste e valdesi, formata da teologi, medici e scienziati), che ora sarà posto al vaglio e all’approfondimento delle chiese locali.

“Auspichiamo che nelle comunità vi siano sempre una maggiore conoscenza e confronto etico – ha dichiarato Ilenya Goss, pastora e coordinatrice della Commissione – per andare oltre gli stereotipi e i rischi di idealizzazione della maternità, la cui ricaduta ultima è rappresentata anche da espressioni svalutanti come “utero in affitto”.

Il quadro di riferimento è un documento delle chiese già approvato dal Sinodo valdese nel 2017, dedicato alle numerose forme di famiglia possibili. Già da anni, infatti, le chiese protestanti sostengono le famiglie arcobaleno, in nome dell’accoglienza e della serenità di tutte e tutti, a partire dalle bambine e dai bambini.

Donne, alberi d’idee e di diritti

da Riforma
di Gian Mario Gillio

 

Ieri sera si è tenuta la serata pubblica del Sinodo delle chiese metodiste e valdesi dal titolo: Oppressione, resilienza, trasformazione: donne nello spazio pubblico

Un albero delle idee (in legno) ha accolto ieri sera l’ingresso al Tempio valdese di Torre Pellice (To) il folto pubblico, accorso alla serata pubblica tutta al femminile del Sinodo delle chiese valdesi e metodiste intitolata «Oppressione, resilienza, trasformazione: donne nello spazio pubblico», con Daniela Di Carlo, Asmae Dachan, Annalisa Camilli, Alessandra Trotta e efficacemente introdotta e condotta da Susanna Ricci con l’accompagnamento musicale al pianoforte di Magali Gonnet.

«Parliamo di sazio pubblico, della sua trasformazione grazie all’impego femminile», così ha esordito Ricci presentando le ospiti in sala. «Sappiamo che quando le donne entrano nella spazio pubblico si avvia una trasformazione non solo sociale, ma anche economica, politica e legislativa; questa sera cercheremo di fotografare il presente, di capire su quali binari si stia viaggiando guardando alle battaglie del passato e a quelle da fare».

La serata è stata trasmessa in diretta da Radio Beckwith Evangelica (Rbe) in modo integrale per far cogliere appieno il senso della serata.

Ad aprire il dialogo con il pubblico è stata Daniela Di Carlo, teologa, pastora della chiesa valdese di Milano esperta di questioni di genere. Un’altra domanda ha interrogato il pubblico in sala, ossia qual è il tempo propizio perché le donne possano occupare lo spazio pubblico e soprattutto partecipare alla trasformazione del mondo?

«Il tempo è adesso, il tempo è giunto – ha chiosato Di Carlo – per ascoltare il sapere delle donne, per vedere finalmente i corpi e le storie di tutte le persone che sono state oppresse. Il tempo di saper riconoscere i corpi che sono stati “razzializzati” e di quelli che sono stati sottomessi alla violenza di genere. Adesso è giunto il tempo di ascoltare la sapienza delle donne che sono capaci di toccare tutti i corpi, anche quelli ai quali è negata l’esistenza, perché messi ai margini dall’abilismo che vede soltanto come normali coloro che hanno e sono dentro la norma dell’essere maschio, dell’essere bianco, dell’essere eterosessuale, dell’essere un uomo di potere, dell’essere bello, dell’essere comunque capace di segnare il tempo del mondo. Adesso e proprio adesso è giunto il tempo di vedere i corpi omosessuali, quelli trans, quelli non binari, adesso, non domani, non dopodomani, adesso è giunto il tempo di vedere la violenza che è presente all’interno di molte famiglie patriarcali che danno origine a femminicidi e dove si consumano la maggior parte di abusi sessuali. […] di vedere chi sbarca lungo le coste dell’Italia […]». E dunque, come possono le chiese anch’esse non essere più luoghi ambigui, incoerenti e «razzisti, perché lo siamo razzisti – afferma Di Carlo – trasudiamo razzismo. Abbiamo capito che il linguaggio oggi ci impone una grande rivoluzione. Tanta pubblicistica ha ricordato che la lingua deve dare voce alla diversità e alla complessità. Le donne hanno avuto una grande merito, creare rete, spostare il mondo. Le donne devono e già oggi occupiamo lo spazio pubblico, attraverso il simbionte politico. In biologia il simbionte è un corpo reso dall’interazione tra due organismi che si associano per sopravvivere. Dovremo imparare ad associarci per portare valori positivi e nuovi per tutte e tutti e le chiese possono diventare dei simbionti politici […]».

Poi la parola è passata ad Asmae Dachan, giornalista, docente, fotografa, poeta, scrittrice italo-siriana che collabora con diverse testate nazionali internazionali scrivendo di diritti umani di dialogo interreligioso e attivista per la pace, alla quale è stato chiesto portare la sua esperienza, «Oggi il mondo nelle sue varie articolazioni ci invita quotidianamente a riflettere. La Siria, la mia terra natale, Aleppo, da quasi 13 anni, purtroppo, vive una guerra senza fine e oltre alla guerra sono subentrati altri fenomeni come quello del terrorismo che hanno spinto milioni di persone a migrare. Su 22 milioni di abitanti in Siria, prima del conflitto, oggi circa sei milioni e mezzo sono gli sfollati interni e altrettanti profughi. E approfitto di questa occasione per dire il mio grazie all’Unione delle chiese metodiste e valdesi per vare messo in salvo e in sicurezza tanti siriani e bambini e donne vulnerabili grazie ai corridoi umanitari. Anche l’Etiopia oggi dopo anni di guerre destabilizzazioni vive ancora un diffuso patriarcato e dove i diritti delle donne percorrono ancora una strada in salita. Anche in Tanzania è oggi molto diffuso un fenomeno delle lavoratrici domestiche, ossia parliamo di migliaia di bambine e di donne che vivono di fatto come schiave all’interno delle case e delle famiglie e che sono costrette a lavorare senza sosta e senza salario e prive di ogni forma di assistenza medica, privando di fatto giovani possibili studentesse si poter usufruire di un percorso scolastico. Nelle loro migrazioni spesso verso gli emirati arabi, visti come un miraggio rispetto alla situazione di partenza, ma dove la situazione non è certo migliore, anzi. Donne e bambine che nel periodo pandemico sono state spesso abbandonate dalle famiglie d’adozione per la strada. Persone che spesso sono dunque costrette a fuggire verso l’Italia e la Spagna, la Grecia, tutte porte d’Europa, che spesso diventano per queste persone nuove barriere, muri insolcabili, fili spinati di discriminazioni. Discriminazioni che possiamo definire nuove guerre. Come la discriminazione di genere, povertà diffuse. Non guerre portate avanti con le armi ma con le parole, con atti e atteggiamenti, con le violazioni dei diritti umani. Persecuzioni religiose e politiche, persecuzioni sessiste. […] Oggi siamo chiamati a prendere il quel dolore per trasformarlo in forza, metterlo sulle nostre spalle per proteggere tante persone. Lo stanno facendo tante donne nel mondo. Come ricordava Virginia Woolf, oggi dobbiamo avere una stanza tutta per noi. Oggi non saremmo qui, insieme alle relatrici della serata, se non avessimo avuto la possibilità di avere una stanza tutta per noi: un posto per scrivere, un posto per cercare noi stesse, un posto dove non ci siano differenze di genere. Credo che ogni donna del mondo debba poter avere una stanza personale per far crescere ogni singola trasformazione».

Annalisa Camilli, giornalista d’inchiesta, scrive su Internazionale, ha ricordato il profluvio di stereotipi che tutt’ora condiziona la società italiana e internazionale: «Nonostante il protagonismo femminile, molte donne hanno ancora paura ad affrontare strade buie, di prendere la parola, di partecipare alla vita pubblica, e quindi hanno paura di poter essere rimesse in un angolo, dal quale credevano di essere uscite, di vivere in un mondo che non scelto. I nomi di tutte queste donne devono essere scritti, ricordati, i nomi delle donne uccise da mariti, dai compagni, dalla violenza verbale e fisica. Oggi, come ricordava Chiara Valerio su Repubblica, tutte queste donne devono essere citate e ricordate. Di tutte le donne uccise “dall’amore”. Lea Melandri sosteneva che il dominio dell’uomo sulla donna si nasconde proprio nella confusione legata al concetto interpretativo delle parole, amore e violenza. La violenza si esercita sulle persone più forti, sulle persone che oppongono al dominio, proprio su di loro si scatena l’aggressività più feroce. Le donne, le femministe, che ci hanno preceduto hanno insegnato a tutte quale possa essere anche la violenza dele parole, degli sguardi […]». Camilli ha concluso il suo intervento leggendo un testo di Michela Murgia, ricordando un suo gesto di coraggio, che oggi, ha concluso «dev’essere contagioso».

Con le conclusioni, la moderatora della Tavola valdese Alessandra Trotta, ringraziando le ospiti della serata, ha ricordato quanto il senso dell’incontro fosse stato pienamente raggiunto: «Una convergenza di significati, di linguaggi diversi, teologia, viaggi, narrazioni, dati, musica, hanno regalato pluralità alla serata. Donne che sono presenti nello spazio pubblico, che lo valorizzano. Il divide et impera oggi è sempre più utilizzato per indebolire, per frammentare i diritti, per annichilire l’impegno politico, che oggi vive l’epoca più bassa della storia. Oggi le donne invece dimostrano di essere protagoniste anche nell’impegno politico per vivere il “tempo propizio della trasformazioni”, un tempo che molte difendono con la loro stessa vita. Oggi tutto ciò che è emerso ricorda che la qualità dello spazio pubblico dev’essere conquistata, dev’essere difesa. Guerre, violenze barbariche, oppressioni, negazione dei diritti sono da guardare in modo intersezionale. L’abominio del dominio, la cura e la conoscenza del linguaggio, il ricordo, come quello biblico dei nomi, del dar voce, soprattutto di chi non c’è più. Dietro a questi concetti chiave abbiamo ascoltato possibili trasformazioni del mondo che siamo chiamati a fare nel quadro del nostro impegno di essere credenti e con coloro con i quali saremo in grado di “associarci”». In molti hanno dimostrato questo percorso ieri sera, scrivendo e consegnando all’albero della vita le loro proposte d’impegno.

Annalisa Camilli ricorda Michela Murgia al Sinodo valdese: “Il coraggio è contagioso”

Torre Pellice (NEV), 22 agosto 2023 – Il discorso della giornalista di Internazionale Annalisa Camilli pronunciato il 21 agosto 2023 durante la serata pubblica del Sinodo delle Chiese metodiste e valdesi, nel tempio di Torre Pellice.

“La macabra sequenza di femminicidi e violenze contro le donne avvenuti in Italia nel mezzo dell’estate ci impone una domanda: come mai in un momento in cui le donne hanno raggiunto livelli inediti e consolidati di eguaglianza e di partecipazione allo spazio pubblico, si moltiplicano invece gli omicidi, le molestie e gli stupri?

Sono settantacinque le donne che nel 2023 sono state uccise dai loro mariti, dai loro compagni e dai loro ex.

Tre solo negli ultimi giorni.

Vera Schiopu, 25 anni, moldava è stata assassinata dal suo compagno a Ramacca, in provincia di Catania: è stata trovata appesa a una corda in un casolare semidiroccato accanto a quello in cui viveva.

Il compagno, insieme a un amico, ha tentato di simulare il suicidio della donna e ha addirittura chiamato l’ambulanza, quando non c’era più nulla da fare.

Il 17 agosto a essere uccisa dal suo ex è stata Anna Scala, 56 anni, accoltellata dall’ex marito mentre usciva dal suo appartamento a Piano di Sorrento.

Lui l’ha aspettata per un’ora, l’ha accoltellata alle spalle e poi l’ha rinchiusa nel bagagliaio della sua macchina.

Poi ha confessato l’omicidio.

In passato le aveva già rotto i denti e l’aveva picchiata anche davanti ad altri, accusandola di averlo tradito, quindi le aveva distrutto le ruote dell’auto.

Anna Scala non era stata zitta, ma aveva provato a difendersi e aveva denunciato il suo ex, per ben due volte nell’ultimo mese, ma nonostante questo non è stato fatto nulla per tutelarla.

Poi c’è Celine Frei Matzohl, uccisa a Silandro, alla vigilia del suo ventunesimo compleanno, una settimana fa. L’ex compagno l’ha ammazzata a coltellate, quando è tornata a casa a prendere le sue cose dopo che l’aveva lasciato. Anche Celine Frei Matzohl aveva denunciato il suo ex per aggressioni e minacce aggravate, lo scorso giugno. Ma anche in questo caso non è servito a nulla, non è stato fatto niente per aiutarla.

Vera Schiopu, Anna Scala, Celine Frei Matzohl.

Hanno età diverse, provengono e vivono in luoghi diversi, appartengono a classi sociali diverse, ma hanno due cose in comune: non sono state sostenute, anche se hanno chiesto aiuto. Secondo: sono state uccise da uomini che hanno chiamato e da cui sono state chiamate: “Amore”.

Questo significa che l’idea dell’amore nel nostro mondo può essere ancora legata alla violenza.

Già la scrittrice e femminista Lea Melandri nel suo Amore e violenza, il fattore molesto della civiltà (Bollati Boringhieri 2011) sottolineava: “Ci sono parentele insospettabili che molti non riconoscono o che preferiscono ignorare. La più antica e la più duratura è quella che lega l’amore all’odio, la tenerezza alla rabbia, la vita alla morte”.

Si distrugge per conservare, si uccide per quello che siamo state educate a chiamare “amore”, ma che amore non è, perché prevede delle forme di controllo e sopraffazione per le donne, che non possono disporre di sé o scegliere di cambiare. “Anziché limitarsi a deprecare la violenza, invocando pene più severe per gli aggressori, più tutela per le vittime, forse sarebbe più sensato gettare uno sguardo là dove non vorremmo vederla comparire, in quelle zone della vita personale che hanno a che fare con gli affetti più intimi, con tutto ciò che ci è più familiare, ma non per questo più conosciuto. A uccidere, violentare, sottomettere, sono prevalentemente mariti, figli, padri, amanti incapaci di tollerare pareti domestiche troppo o troppo poco protettive, abbracci assillanti o abbandoni che lasciano scoperte fragilità maschili insospettate”, scrive sempre Melandri.

La violenza efferata è soltanto la punta dell’iceberg, lo sappiamo.

Affonda le sue radici in una cultura profondamente sessista, che è ancora dominante. Basti pensare alle affermazioni del presidente del senato Ignazio La Russa, che qualche mese fa difendendo il figlio Leonardo accusato di stupro, ha accusato la vittima ventenne di avere assunto cocaina, liquidando le accuse.

C’è sempre quello sguardo che mette le donne sotto esame alla ricerca di un pretesto per dire: “Te la sei cercata”. I centri antiviolenza di tutto il mondo raccolgono ogni giorno i racconti di donne che hanno denunciato di essere state stuprate e non sono state credute, perché erano truccate o vestite bene, perché non piangevano o per qualche altro motivo non erano considerate credibili.

La pandemia ha perfino aggravato questo processo.

“Ne usciremo migliori?”, ci chiedevamo nei primi giorni della pandemia di covid-19 nel marzo del 2020, c’era una speranza diffusa e mal risposta che la catastrofe fosse una specie di rivoluzione, come se la natura potesse fare delle battaglie per noi e cioè potesse distruggere i rapporti di forza tra oppressori e oppressi, lasciando spazio a modelli di vita più giusti. Ma ovviamente non è andata così. Anzi come spesso è accaduto nella storia la catastrofe è stata una porta da cui si è affacciato il passato ed è venuto a fare i conti con il presente, facendo cadere le conquiste più recenti e riportando alla luce vecchi modelli ancora più disuguali.

In quello spazio sospeso del confinamento sono infatti saltati di nuovo i limiti tra pubblico e privato e molte conquiste che sembravano assodate nella relazione tra i sessi, sono state rimesse in discussione.

Le donne sono state ricacciate nelle case come in una specie di macchina del tempo e richiamate ai lavori di cura, così sono gradualmente scomparse come soggetti dal dibattito pubblico. Per tornarci solo da vittime di abusi e violenze.

Anche se da qualche decennio le donne – singolarmente e tutte insieme – questo sistema di dominio lo hanno messo in discussione con parole e più efficacemente con gesti, sottraendosi a relazioni, modelli familiari e lavorativi che non corrispondono più ai loro desideri. Questa rivoluzione non è ancora compiuta. Mentre la legge del padre entra in crisi, la violenza diventa più feroce. È probabilmente il tentativo di ristabilire quell’ordine, che invece è in declino.

Che fare dunque? Due dei livelli su cui dovremmo provare ad agire per intervenire su quest’ondata di violenze contro le donne e questo backlash implicano l’ascolto e l’abbandono di un’attitudine solo passiva.

Qualche tempo fa le femministe della Casa delle donne di Ravenna mi hanno raccontato che sempre più spesso uomini e ragazzi bussano alla loro porta, perché vorrebbero imparare l’autocoscienza come tecnica usata per decenni dalle donne. Per usarla nella decostruzione dei modelli maschili a cui sono educati e con cui non si sentono più in sintonia, perché mentre il mondo vecchio è al tramonto faticano a trovare nuovi paradigmi a cui ispirarsi. A questi ragazzi e a questi uomini bisognerebbe dare più ascolto e più spazio.
Poi c’è una pratica collettiva del coraggio che dovremmo ricominciare a praticare: se tutte e tutti insieme fossimo più disposti a reagire ai soprusi che riguardano gli altri, gli eventi più estremi non si verificherebbero. Penso spesso all’omicidio di Alika Ogorchukwu, l’ambulante nigeriano ucciso a Civitanova Marche nell’estate del 2022, lungo la strada principale della cittadina di mare, davanti agli occhi sbigottiti, dei passanti, che non intervennero, ma al massimo filmarono per denunciare l’aggressore.

Anche su questo sembra che la pandemia abbia avuto un effetto: ci viene più naturale denunciare, che intervenire, osservare che provare a fermare. Probabilmente anche per la paura di finire invischiati e di perdere qualcosa.

Dovremmo provare a essere più coraggiosi, più reattivi, più fiduciosi.

La scrittrice Michela Murgia una volta ha raccontato:

“Bisogna fare nomi e cognomi, e quando succedono casi di sessismo bisogna avere il coraggio di alzarsi e dire quello a cui sto assistendo non solo non mi rappresenta ma mi offende. A me è successo quando ho ritirato il premio Campiello (era il 2010 e il libro era Accabadora) e mi è capitato di assistere a una scena vergognosamente sessista in cui Bruno Vespa chiese alla regia della serata che andava su Rai Uno di inquadrare la scollatura di Silvia Avallone che stava ricevendo il premio per il Campiello Giovani, con l’esordio di Acciaio. Ecco quando rilasciai l’intervista subito dopo dissi che avevo trovato quella cosa scandalosa e ritenevo che fosse un gesto di potere e di abuso. Nessuno si alzò a difendermi. Anzi molti dissero Michela Murgia è gelosa perché non è stato inquadrato il suo di décolleté. E questa è una delle cose che possono succedere quando ti esponi. Allo stesso tempo posso dire che quel gesto di libertà, anche se in quel momento non ha ricevuto la solidarietà che io forse mi sarei aspettata, si è rivelato nella mia storia assolutamente fondante perché da quel momento io non sono più stata zitta su queste questioni e ogni volta che ho aperto bocca ho trovato un’altra voce di donna che si era aggiunta alla mia nel frattempo, perché magari aveva trovato il coraggio. Perché è così, il coraggio è contagioso”.