Solo due versetti che insegnano la fiducia e la preghiera

29 gennaio 2017

Matteo 14,22-23

Due versetti, solo due versetti tra due racconti importanti e famosi della vita e del ministero di Gesù: la moltiplicazione dei pani, da una parte, e Gesù che cammina sulla acque, dall’altra.

Come una sorta di parentesi introduttiva e poco influente a situazioni e azioni ben più rilevanti, ecco l’impressione che possono offrici questi due versetti del vangelo di Matteo.

Forse troppo poco per farne un sermone!

In fin de conti come non convogliare la nostra attenzione sul miracolo che segue questi due versetti e che ci parla di questo gruppo di discepoli che si ritrova scosso e spaurito nella tempesta e non sa cosa fare e come uscirne?

Solo l’intervento di Gesù, che qui si rivela come il Messia mandato da Dio per donare salvezza e tanto atteso dal popolo d’Israele, risolve in positivo la situazione che sembra essere senza speranza.

Un brano del vangelo questo che spesso pone problemi a noi cristiani moderni imbevuti di razionalismo illuminista perché fa sospendere le leggi naturali da un intervento soprannaturale.

Eppure non è forse vero che anche noi – tanto razionalisti, tanto legati alla scienza e alla tecnologia più sofisticate – in molte situazioni della vita vorremmo che un evento soprannaturale intervenisse a bloccare tragedie e disastri opera della natura o dell’essere umano?

Ammettiamolo!

E in effetti Gesù, che qui incarna veramente il Dio

salvatore, interviene in soccorso a coloro che sono sulla barca placando il vento.

Ma nella nostra vita non sempre questo miracolo accade o forse non accade nel modo in cui noi ci aspetteremmo…

Ora quale può essere la relazione tra questo racconto di miracolo e i due versetti che sono il centro di questa riflessione? A prima vista forse poca…

Abbiamo un Gesù che dopo l’altro miracolo, quello della moltiplicazione dei pani, obbliga i suoi discepoli a prendere il largo su una barca, mentre lui – dopo che la folla è andata via satolla di cibo materiale, ma anche di quello spirituale della sua Parola – si ritira in disparte a pregare…

Ma perchè pregare? Perché occupare questo tempo nella preghiera invece di aiutare i suoi che sono in balìa del vento?

Perché pregare?

Qualcuno ha scritto che la preghiera è come il respirare quasi che sia un atto spontaneo, ma in realtà non è così. Pregare è una scelta, è la conseguenza di un incontro e di una relazione – per quanto conflittuale e sfilacciata essa sia – con il nostro Dio che continuiamo a sentire come un Padre, e al quale ci rivolgiamo perché nel nostro profondo sappiamo che le nostre parole, rotte, povere, colme di gioia e gratitudine oppure di tristezza e di rabbia, in qualche modo verranno ascoltate: non cadranno nel vuoto!

Ma se di nuovo leggiamo il vangelo di Matteo al capitolo sesto proprio quando parla della preghiera per eccellenza, il Padre Nostro, e insegna alla moltitudine come pregare sembrerebbe chiaro che Dio sa ciò di cui abbiamo bisogno per cui non è necessario usare molte parole…

Ma allora perché pregare?

In uno dei due gruppi di studio biblico che ora stanno studiando il Padre Nostro la domanda è stata posta e un nostro fratello ha risposto che pregare è un po’ come iniziare una conversazione telefonica tra amici: c’è bisogno che tu chiami l’altro perché questo possa risponderti anche se magari già sa di cosa vorrai parlargli.

Mi sembra un bel paragone!

Ma c’è anche chi, come il teologo e filosofo Soren Kierkegaard sosteneva che: “Non preghiamo per spiegare a Dio quel di cui abbiamo bisogno – Egli già lo sa – ma perché pregando finiamo col comprendere noi ciò di cui abbiamo veramente bisogno”.

Eppure ciò che caratterizza quei due versetti è che è Gesù che prega: egli in realtà lo fa in più occasioni e spesso in disparte, da solo in relazione con suo Padre. Spesse volte questi momenti precedono o seguono eventi di cruciale importanza per la vita e il ministero di Gesù, proprio come in questo caso.

Sembrerebbe che Egli senta il bisogno di entrare in dialogo e in relazione stretta con Dio per dare senso a quanto accaduto e per trovare forza e ragione in ciò che lo attende!

Credo che anche noi abbiamo fatto un’esperienza simile a Gesù. Egli anche in questo è davvero il nostro fratello maggiore che ci precede e guida verso il Padre.

E in effetti se ripensiamo al passo della II Corinzi che abbiamo ascoltato salta agli occhi come le comunità in un tempo di difficoltà siano invitate dall’apostolo a cooperare con la preghiera per alleviare le sue sofferenze e rivolgere ringraziamento a Dio che lo ha liberato e lo libererà ancora da un pericolo di morte.

Sorelle fratelli continuiamo a pregare: Padre Nostro liberaci dal male” sembrerebbe scrivere Paolo.

E Lutero la pensava come lui quando nel Grande Catechismo scriveva: “Sappiamo che la nostra difesa è esclusivamente nella preghiera. Teniamo salde le armi del cristiano: esse ci rendono capaci di combattere il diavolo. Che cosa ha riportato queste grandi vittorie sulle imprese dei nostri nemici che il diavolo ha utilizzato per asservirci, se non le preghiere di alcune persone che si sono erette come una muraglia di bronzo per proteggerci?

Ma spesse volte il male di cui si parla non viene dall’esterno.

Pure di questo l’apostolo ne è cosciente quando afferma che avevano loro stessi pronunciato la loro sentenza di morte così da non mettere “la nostra fiducia in noi stessi, ma in Dio che risuscita i morti.” (II Co. 1,9b)

Troppo spesso è la fiducia nelle nostre sole forze, nel poter fare tranquillamente a meno di Dio che tanto i miracoli dei vangeli non li fa più – se mai li ha fatti – che decreta in un certo senso la nostra sconfitta e la nostra morte.

Ecco cosa ci mostrano i discepoli sulla barca, o meglio tutti coloro che si trovano nei marosi della vita, e non sanno a chi affidarsi una volta che le proprie risorse e forze sono venute meno.

È pur vero che Gesù placherà il vento e la barca sarà in salvo, ma nel momento in cui egli si avvicina a Pietro e lo invita a scendere da quella barca per camminare con lui il mare è ancora in tempesta, il vento soffia ancora forte…

È questo il senso della preghiera e dell’affidamento a Dio.

Un atto di fede nella relazione con un Dio che libera, con un Dio che salva attraverso strade a noi sconosciute e misteriose, ma che ci chiede di affidarci a Lui e di abbandonare il dubbio che pure ci attanaglia in favore di una speranza più certa.

Eppure il Signore nostro Padre sa che questo per noi è tutto tranne che facile.

La nostra vita di credenti è tutta fatta di fede mista a dubbio e che soltanto per grazia è possibile che il dubbio sia messo in sott’ordine.

Come il padre del piccolo epilettico nel vangelo di Marco, quasi in un grido prega: “Io credo! Vieni in aiuto alla mia incredulità!” (Mc. 9,24) anche noi ci rivolgiamo a Dio così.

Ed è proprio tra il dubbio e la fede che si apre lo spazio per la preghiera: “Io credo Signore! Vieni in aiuto alla mia incredulità!”.

Amen

past. Mirella Manocchio

La diaconia della riconciliazione

22 gennaio 2017

2 Corinzi 5,14-20
infatti l’amore di Cristo ci costringe, perché siamo giunti a questa conclusione: che uno solo morì per tutti, quindi tutti morirono; e ch’egli morì per tutti, affinché quelli che vivono non vivano più per se stessi, ma per colui che è morto e risuscitato per loro. Quindi, da ora in poi, noi non conosciamo più nessuno da un punto di vista umano; e se anche abbiamo conosciuto Cristo da un punto di vista umano, ora però non lo conosciamo più così. Se dunque uno è in Cristo, egli è una nuova creatura; le cose vecchie sono passate: ecco, sono diventate nuove. E tutto questo viene da Dio che ci ha riconciliati con sé per mezzo di Cristo e ci ha affidato il ministero della riconciliazione.  Infatti Dio era in Cristo nel riconciliare con sé il mondo, non imputando agli uomini le loro colpe, e ha messo in noi la parola della riconciliazione. Noi dunque facciamo da ambasciatori per Cristo, come se Dio esortasse per mezzo nostro; vi supplichiamo nel nome di Cristo: siate riconciliati con Dio.

 

Care sorelle e cari fratelli nel Signore,

nella seconda lettera dell’apostolo Paolo ai Corinzi cap. 5, versi da 14 a 20 innanzitutto si parla della  vocazione di Paolo di essere un ambasciatore della parola di riconciliazione.

Lui è stato chiamato da Dio per svolgere questa vocazione.

Originariamente appartenente alla religione ebraica, era stato un persecutore  dei cristiani e faceva cercare i credenti della nuova Via (<< Saulo, sempre spirante minacce e stragi contro i discepoli del Signore, si presentò al sommo sacerdote, e gli chiese delle lettere per le sinagoghe di Damasco affinché, se avesse trovato dei seguaci della Via, uomini e donne, li potesse condurre legati a Gerusalemme.>>(Atti 9,1-2 ).

L’apostolo Paolo non ha smesso di ricordare alle comunità primitive la  storia della sua  vita passata per confermare di essere stato scelto da Dio come  testimone e al servizio di Gesù Cristo. Leggendo le sue lettere nel difendere la sua vocazione di essere ambasciatore del messaggio in Gesù Cristo, ci accorgiamo che ricorda sempre la sua provenienza,  perché solo per la grazia di Dio  era diventato un predicatore.

La sua identità religiosa del passato non lo rendeva  degno di poter svolgere l’annuncio dell’evangelo in Gesù Cristo, e  proprio per questo motivo che non poteva fare altro che ricordare  e difendere di fronte ai suoi avversari e alle comunità e in questo caso ai corinzi  la sua chiamata a svolgere questa vocazione.

Per grazia di Dio  egli proclamò l’evangelo di riconciliazione.

L’amore di Gesù Cristo ci spinge (ci costringe), perché siamo giunti a questa conclusione: <<che uno solo morì per tutti, quindi tutti morirono; e ch’egli morì per tutti, affinché quelli che vivono non vivano più per se stessi, ma per colui che è morto e risuscitato per loro>>.

In questi giorni dal 18 al 25, nell’arco di una settimana, i cristiani di confessione cattolica romana, ortodossa, protestante si incontrano per pregare insieme per la loro unità.

Osserviamo che non  tutte le chiese ne ospitano altre di confessione diversa da loro, perciò  il messaggio di iniziare un dialogo con l’altro deve essere, o potrebbe essere partito proprio dai responsabili che esercitano la guida delle chiese.

Il percorso di crescita di ogni chiesa locale è fondamentale per ospitare un’iniziativa di dialogo ecumenico.

Il tema della settimana di preghiera per l’ unità dei cristiani è una delle risposte di Dio. L’amore di Cristo ci spinge ad annunciare l’evangelo della riconciliazione come dice ancora l’apostolo Paolo a noi oggi. L’apostolo Paolo ha speso la sua vita svolgendo la sua vocazione proprio per annunciare la buona novella che Dio ha riconciliato se stesso all’umanità intera per l’amore di Gesù Cristo, lui morto per tutti i nostri peccati e risorto anche per darci una nuova vita perché Dio non ha voluto imputarci le nostre colpe. << Se dunque uno è in Cristo, egli è una nuova creatura; le cose vecchie sono passate: ecco, sono diventate nuove>>.

Giovedì scorso siamo andati nella parrocchia di S. Ponziano in 5 per rappresentare la nostra comunità.

I giovani che hanno rappresentato le nostre chiese hanno partecipato alla confessione dei peccati.

Ognuno di loro ha portato davanti, al centro, un mattone, uno per volta e piano piano hanno costruito il muro che rappresenta il muro di divisione che ogni chiesa costruisce  per dividersi dall’altra.

Un muro di mancanza d’amore, di odio e disprezzo, false accuse, discriminazione, persecuzione, comunione spezzata, intolleranza, guerre di religione, divisione, abuso di potere, indifferenza , isolamento e orgoglio.

Ma i ragazzi dopo hanno costruito con  questi mattoni la croce.

Così dunque il muro è diventato la croce.

Noi siamo partecipi tutti della sofferenza dell’altro perché costruiamo un muro che nello stesso tempo diventa una croce. Il muro e la croce  rappresentano tutto ciò che facciamo noi come chiesa che reca soltanto sofferenza o dolore all’altra.

Ognuna di queste chiese  deve rendersi conto dei muri che ha fatto crescere.

Facciamo un esame di coscienza e aumentiamo la nostra sensibilità per non costruire muri, perché è per questo motivo che Gesù ha voluto dimostrare il suo amore per noi sulla croce. Lui ha fatto la sua parte come aveva deciso il Dio Padre, e ora la nostra risposta deve essere quella della nostra assunzione di  responsabilità che a noi è stata rivelata e affidata, quella di annunciare il vangelo di amore.

La croce che rappresenta per noi la sofferenza di Gesù Cristo era per dimostrare l’amore appassionato per le creature di Dio.

È solo nell’amore e per amore che ci possiamo spingere verso questa meta . L’amore è la potenza di Dio che ci spinge a dover e voler fare una cosa buona che da beneficio a molti.

Le diverse confessioni cristiane  sono innanzitutto mattoni che segnano le divisioni, ma ora nel dialogo ecumenico delle chiese di cui facciamo parte, portiamo il messaggio che non dobbiamo più dividerci e allontanarci di più gli uni dagli altri, ma,  confrontarci e riconciliarci perché questo è ciò che ha voluto Dio per sé e per gli uomini e le donne come noi.

Se vi ricordate nell’anno 2015 il tema trattato per la settimana di preghiera per l’unità dei cristiani era tratto dal primo capitolo della prima lettera di Paolo ai Corinzi.

Cristo non può essere diviso come viene dichiarato in questo brano <<io sono di Paolo>> un altro dice <<io sono di Apollo>> un altro dice <<io sono di Pietro>>  un’altra ancora dice <<io sono di Cristo>>.

Le divisioni sorgono quando i cristiani non rimangono nella loro origine e radice.

Noi rappresentanti, guide delle varie confessioni della religione cristiana abbiamo come compito fondamentale di far si ché i credenti non debbano  perdere il loro sguardo al Signore. Hanno bisogno di noi  perché indichiamo loro il Cristo, il loro salvatore personale, Colui che ha donato la vita nuova, Colui che ha redento tutti dal peccato.

In Gesù Cristo siamo giunti alla conoscenza dell’universalità del peccato e dell’universalità della salvezza.  L’annuncio della salvezza in Cristo Gesù è il piano di Dio per salvare l’umanità(tutti) dal peccato.

L’apostolo Paolo ha ricevuto per rivelazione questo annuncio e lui è l’apostolo e il messaggero di ciò. La sua storia di conversione è fondamentale nell’annuncio della nuova Via nel Signore Gesù perché era nato ebreo, portava l’insegnamento della legge di Mosè nell’AT,  ma poi era ri-nato  dalla legge di Mosè al compimento della legge di amore che ha insegnato Gesù. Egli ha avuto una crisi esistenziale e attraverso questa  ha potuto trarre il nuovo insegnamento. La sua fede rinasce e rinnova  tutta la sua esistenza; è cambiata la sua mentalità e è convertito dal suo Dio.

È molto importante comprendere questo percorso di Paolo perché ognuno di noi possa testimoniare/evangelizzare  l’universalità della salvezza.

Io credo che ogni predicatore sul pulpito abbia solo un obiettivo da svolgere cioè di proclamare l’evangelo: la buona novella, la buona notizia che viene da Dio.

Io credo anche che l’unico scopo per cui noi che assumiamo questo compito e l’unica ragione per cui ci mettiamo dinanzi  alle persone, ai credenti  è affinché ricevano una risposta di consolazione,   di speranza e  di riconciliazione  e si sentono in pace con  Dio.

La settimana di preghiera per l’unità dei cristiani è particolare anche in questo anno perché si celebra con lo stesso spirito con  cui si festeggia il  cinquecentenario della riforma.

Churches together in Rome(un gruppo dei pastori di lingua inglese sta leggendo un  libretto che si intitola <<from conflict to communion/dal conflitto alla comunione>> dice sostanzialmente che ora che siamo nel 2017, i cattolici e i luterani guardano insieme ciò che è  accaduto in questi 500 anni. E nello stesso tempo, essi devono anche riflettere sui 50 anni di dialogo ecumenico a livello mondiale.

Durante questo tempo, la comunione che hanno condiviso  è continuata a crescere.

Questo fatto incoraggia i luterani e i cattolici a celebrare insieme la comune testimonianza dell’evangelo di Gesù Cristo, che è il centro della loro fede comune.

Al di là delle celebrazioni, hanno  ragione a denunciare la sofferenza causata dalla divisione della Chiesa(c maiuscola), e a porre uno sguardo critico su loro stessi, non solo alla storia tutta ma anche attraverso le realtà odierna.

<<Dal conflitto alla comunione>  sviluppa una base per una commemorazione ecumenica che  contrasta con  i primi 500 anni. La commissione Luterana – Cattolica Romana sull’unità invita i cristiani a studiare le propri relazioni entrambi, con apertura mentale e in modo critico, per procedere lungo la strada verso la piena e visibile unità della Chiesa(C maiuscola). Le divisioni ci sono sempre state e quel libro che vi dicevo prima contiene delle nozioni  che ci aiutano a proseguire per il  cammino di dialogo ecumenico. Avere un’apertura mentale è un atteggiamento che aiuta a guarire le ferite della divisione  della chiesa per andare avanti.

Anche noi protestanti siamo divisi ,ora ,nel senso che c’è una pluralità di interpretazioni in base alle quali nascono nuove chiese.

Spesso la Bibbia, è soggetta a differenti  interpretazioni da parte nostra.

Il credente che la legge, legge come tale, per se stesso, parola per parola.

Siamo tutti lettori e ascoltatori di questa parola ma cerchiamo di far prevalere i messaggi di riconciliazione perché solo in Cristo Gesù possiamo riconoscere la nostra uguaglianza. La nostra riconciliazione è fatta da Dio in Cristo, è un regalo.

Poiché essa è un regalo abbiamo l’ occasione di riceverlo ancora e di donarlo.

Non è privato, non appartiene solo ad unica chiesa.

C’è molto da imparare essendo un credente considerando il passato, il presente e il futuro nel progetto di Dio. Tutta la nostra vita, tutta la nostra storia è descritta nella Bibbia in cui Egli ha dato la sua risposta. Dunque, l’attenzione è posta sulla risposta di Dio alla quale  anche il predicatore deve attenersi.

La chiesa di Dio è una e quella che si spende, si impegna con perseveranza e costanza nella sua vocazione di annunciare Gesù Cristo il Signore di tutte le chiese e di tutta l’umanità. In lui Dio ha depositato tutti i tesori a cui l’uomo credente può attingere per dimostrare nel mondo le sue opere di cambiamento delle vite di molte persone.

Cara comunità,

nella  chiesa in cui siamo cresciuti dobbiamo renderci conto della grazia che abbiamo ricevuto. Facciamo festa, celebriamo il Signore perché siamo tutti suoi.

Che ci sia questo spirito gioioso tra noi quest’anno in cui celebriamo i 500 anni dalla riforma della chiesa.  Amen.

past. Joylin Galapon

Il dio di Mosè

15 gennaio 2017

Esodo 33,17-23

Care sorelle e cari fratelli nel Signore,

nel libro dell’esodo è narrato il lungo viaggio del popolo di Israele.

Grazie ad esso capiamo che la vita di un credente in Dio è un percorso, un cammino e la presenza di Dio si manifesta nella storia dell’uomo.

Dio ha eletto Mosè perché guidasse un popolo.

Mosè  ha trovato grazia agli occhi suoi  e Dio l’ha conosciuto personalmente.

Dio ha conosciuto Mosè.

Egli ha ritenuto di rivelarsi  manifestandogli la sua gloria nella sua <<bontà, nel suo nome, nella sua grazia, e nella sua pietà>> con cui Dio ha sempre accompagnato Mosè.

A Dio vengono  attribuiti questi caratteri di cui l’uomo ha bisogno nel suo vivere. L’insieme di questi caratteri identifica Dio

Mosè non ha visto Dio.

Non l’ha potuto vedere. Dio non ha esaudito la richiesta di Mosè di farsi vedere cioè di mostrarsi, o di rivelare il suo volto. Dio nell’AT non aveva volto, solo dopo nel NT  si vedrà Dio nel Figlio. Cfr. Gv. 1 Questa è stata la volontà di Dio nei tempi che aveva  prestabilito.

Mosè  vedrà Dio in un’altra maniera,  mentre camminano e percorrono la strada della vita.

Dio sarà presente nella bontà, nella signoria, nella grazia e nella pietà che saranno esperienze di vita di Mosè, in cui testimonieranno la sua esistenza che appartengono solo a Lui.

Mosè aveva il compito di accompagnare un popolo, un gruppo, una massa di gente verso la terra che gli aveva indicato Dio stesso, la terra promessa.

Dio così si è rivelato a Mosè suscitando in lui quella presenza che dona pace interiore: la sua gloria si manifesterà.

Tutto questo avvertimento a Mosè, che nessuno avrebbe mai visto Dio, nella storia del popolo di Israele ci fa capire ancora di più l’atteggiamento che l’uomo ha di far prevalere la sua volontà di una rappresentazione esteriore di Dio, di creare un’ immagine di  Dio per se stesso.

Quindi la creazione del vitello d’oro è nata dalla volontà dell’uomo di realizzare un’immagine in cui fosse rappresentato  Dio.

In questo senso, si verifica ancora nella nostra epoca,  il bisogno costante dell’uomo  di voler soddisfare questa richiesta primordiale di Mosè.

Noi non abbiamo potuto purificare completamente la nostra fede(credendo solo in Dio tramite la sua parola)  e liberarci di tutte quelle credenze che continuano a rappresentare il falso volto di Dio, anche se, uno dei nostri principi del protestantesimo, è di eliminare tutte le immagini che si presume rappresentino Dio.

Non è facile per tutti noi  fare un lavoro di purificazione (ciò che chiamiamo la conversione/circoncisione del cuore, o il cambiamento radicale della mentalità).

Però, la purificazione della mente e del cuore è necessaria, ed è basilare per comprendere meglio che Dio non ha un volto, ma è colui che opera nel nostro essere per il nostro bene cioè l’opera dello Spirito Santo.

Dio ha voluto rivelare la sua presenza nell’ interiorità dell’uomo che si manifesta nel suo essere sereno, in pace, nella certezza di poter affrontare la vita quotidiana e fare il suo viaggio sulla terra.

Così Dio è intervenuto nella storia sia personale che collettiva.

 

L’uomo così come  Mosè deve avere la capacità di riconoscere  Dio nella sua vita, in questa maniera. La MANO del Signore è il suo scudo, che lo ripara da ogni assalto.

In alcune situazioni ci troviamo a dover lottare non essere  tentati di credere che Dio  non ci sia o che non sia presente.

Ad esempio nel tempo della scarsità?

Nel tempo del bisogno?

Nel tempo della malattia?

Nel tempo in cui affrontiamo situazioni difficili?

Sentire il bisogno di Dio è molto importante nella vita soprattutto dei credenti.

Perché? Perché è nell’ora delle  prove della vita che si manifesta la gloria di Dio.

La prova  più estrema che ha sperimentato Gesù è quando si è avvicinato il momento  della sua morte.

Lui ha gridato “Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato”.

Domenica scorsa ho fatto uno studio biblico sulla tentazione con il gruppo dei filippini. Un episodio testimoniato dai vangeli(Marco e Luca) è quello in cui Gesù viene tentato da Satana.

Satana lo tenta proprio sulla conoscenza di Dio. Chi è Dio? A partire da questo concetto di Dio  dobbiamo imparare a conoscere e riconoscere i suoi interventi.

Satana l’ ha tentato, ha provato a sedurlo e ad ingannarlo con  parole affascinanti per regnare in lui così dobbiamo anche lavorare molto sul concetto di tentazione. Per professare di avere Dio è molto importante avere l’atteggiamento di prudenza sia nella mente sia nel parlare.

Satana gli ha promesso l’abbondanza, il dominio, la signoria. Se Gesù si prostra a lui avrà tutto.

Gesù ci ha dato un esempio di come  distinguere la presenza di Dio nei suoi insegnamenti durante il suo ministero.

Quando ci siamo sentiti   abbandonati da Dio?

Gesù chiese:<<Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato>>è stato abbandonato dai suoi amici(discepoli).

Chi è malato di una grave malattia sente il dolore. Una sorella di chiesa ha avuto una esperienza di dolore fisico quando si è ammalata, ma mi ha confessato(confidato  che  si è sentita ancora peggio quando i suoi fratelli e le sue sorelle di chiesa non si sono fatti sentire, ovvero, quando non ha avuto quella presenza che si aspettava da loro e quindi si è  sentita più sola.

Ha cominciato a riflettere e ha pensato al suo rapporto con Dio e con il suo prossimo.

Con Dio ha sentito che la sua relazione era diventata più forte, il legame suo era diventato più stretto. Non l’ha abbandonato, ha afferrato, ha pregato che lui non l’abbandonasse. Non si è allontanata da Dio. Spesse volte ci sentiamo di essere abbandonati da Dio ma forse siamo noi che ci allontaniamo da Lui.

Con il prossimo ha detto a se stessa che non lascerà che altri si sentano abbandonati. Cercherà di farsi sentire, e di esserci vicino quando una o uno dei suoi fratelli o sorelle stanno attraversando un momento di difficoltà.

Per noi uomini e donne  è più difficile sopportare una malattia quando ci sentiamo soli e abbandonati dalle persone sulle quali contavamo.

Che cosa ci ha fatto credere che Dio  è presente nella nostra vita?

Spero  non solo quando abbiamo avuto la guarigione dalla nostra malattia.

Spero che non sia stato soltanto quando ci siamo salvati da un incidente e quindi siamo ancora in vita.

Spero  non solo quando abbiamo desiderato una cosa  così grande da poterla ottenere solo tramite la grazia di Dio.

Penso che in questo tempo abbiamo avuto molto dalla vita.

Il pericolo ora  è di essere increduli, è il non credere che tutto quello che esiste sulla terra sia a nostra disposizione e abbiamo anche la possibilità e libertà di scegliere.

La vera questione è come ci impegniamo a trovare il senso di una cosa a nostra disposizione per farla diventare una cosa che dà senso alla nostra vita.

Penso che una cosa ha senso per noi, innanzitutto, quando siamo noi ad accettarla per primi. Una cosa che abbiamo è utile, quando la scopriamo vera per noi stessi.

Il viaggio del popolo di Israele è stato lungo. Erano quaranta anni di cammino. In questo brano Mosè parlava direttamente con Dio. Si sente che il loro dialogo è stato molto intenso. Mosè chiede a Dio di mostrarsi, di far vedere la sua faccia.

Dio è pronto a farsi vedere da Mosè,  però non direttamente, ma, gli insegna a vederlo come, guida della vita ogni volta, che sente nascere nei suoi pensieri la bontà, la signoria, la grazia, la pietà di Dio nel cuor suo.

Essere davanti, è Dio stesso che  si mette davanti a lui, come uno scudo.

In questo senso Mosè impara a conoscere Dio, in colui che gli indica la via per arrivare alla sua meta.

Mosè accompagna un popolo, ma, egli è accompagnato da Uno, dal suo Dio che li libera da ogni schiavitù, dal  giogo del peccato.

Sono già più di 2mila anni che quel popolo è guidato dall’unico Dio. Tante esperienze sono successe e se vediamo Dio in quest’ottica saremo sempre più vicini a lui come era Mosè con il suo popolo.

 

Terence E. Fretheim un docente di AT presso il Luther Northwestern Theological Seminary di St Paul Minnesota commenta questo brano del libro dell’esodo dicendo: per Dio essere pienamente presente sarebbe una coercizione; la fede diventerebbe un qualcosa di visibile, e l’umanità non potrebbe far altro che credere.

La presenza di Dio non può diventare una cosa ovvia; deve rimanere un elemento di ambiguità, così da rendere possibile la non-fede.

Un senso del  mistero di Dio deve essere riservato. Questo testo dimostra che anche per Mosè c’è un mistero sostanziale di fronte a Dio.

La richiesta di Mosè di poter vedere Dio è umana, fa parte della nostra personalità. Vogliamo avere sempre quella presenza perché senza di essa siamo persi.

Sorelle e fratelli preghiamo a Dio di non farci mancare quella presenza nella sua bontà, nella sua Signoria, nella sua grazia, nella sua pietà. Amen.

past. Joylin Galapon

Rinnovamento del patto

8 gennaio 2017

Geremia 31,31-34 (Rinnovamento del Patto)

Siamo all’inizio di un Nuovo Anno e come tante altre domeniche ci troviamo ancora qui per lodare il nostro Signore, per ascoltare la Parola di Dio e riflettere su di essa.

A volte sembra di ascoltare sempre la stessa parola, sempre gli stessi discorsi sul nostro rapporto con Dio e anche se un anno è passato nulla sembra differente.

Altre volte la Parola ascoltata, anche se si tratta di un testo mille volte letto e studiato, sembra improvvisamente acquistare nuova vita e dirci qualcosa di profondamente nuovo e vero per noi.

La Parola di Dio smette di essere lettera morta e si anima di vita nuova, di rinnovata freschezza.

Che cosa è cambiato? Perché ora quel brano ci raggiunge e ci tocca nel profondo?

Sono cambiate le situazioni della vita, le esperienze personali?

È la bravura del predicatore?

Magari si è prestata maggiore attenzione a quel che veniva detto?

Forse un po’ tutti questi elementi messi insieme!

Sicuramente quel che abbiamo sperimentato è la novità dello Spirito Santo che attualizza il messaggio del vangelo così da rendere quel che la Bibbia dice di Dio e del suo rapporto con l’umanità non un vuoto teologumeno, ma la base e l’origine della nostra vicenda storica.

Ecco il profeta Geremia annuncia una parola nuova al popolo partendo da un messaggio che Israele ha tante volte ascoltato, e Dio stesso prende a parlare partendo da questa storia antica: “…il giorno che li presi per mano per condurli fuori dal paese d’Egitto…”.

Un patto quello di Dio con Israele che parte da lontano, parte da Abramo per arrivare a Mosé.

Ma il patto di cui parla ora Dio per bocca del suo profeta, Geremia, assume diversi nuovi connotati:

  1. Non è un patto fatto di singole e minuziose leggi da seguire. Non è un contratto fatto per vedere se i due contraenti sono in grado di rispettarlo per cui la domanda di fondo è “cosa devo fare per non essere inadempiente?”

Il contenuto del patto di cui parla Geremia viene da Dio riassunto nella singola affermazione: “Io sarò il vostro Dio e voi sarete il mio popolo”.

Se ascoltiamo bene questa frase non sembra anche a voi sul tipo delle promesse che ci si scambia il giorno del matrimonio quando i nubendi si promettono di darsi l’uno all’altro?

Ecco che il patto di Dio con il suo popolo sveste i connotati del contratto per assumere quelli di un matrimonio.

  1. I diversi patti presenti nell’Antico Testamento sono sempre espressi al passato ossia come un dato di fatto da cui poi procedere. Qui invece il discorso è espresso con tempi e prospettiva futuri come una meta promessa da raggiungere.

Noi sappiamo bene quante volte Israele sia stato infedele e se Dio si fosse attenuto ad una idea di contratto, il popolo sarebbe stato totalmente inadempiente e il contratto stracciato. Dio, però, ha accettato che il suo compagno sia debole ed infedele, ma non vuol darsi per vinto e decide di riprovare dando al rapporto come un nuovo inizio. Proprio come quando alle nozze d’argento o d’oro molte coppie fanno nuovo il loro patto d’amore.

Questa volta il patto non è però qualcosa di già dato, semmai è una promessa che Dio e il suo popolo si scambiano e, sebbene giungerà a compimento nel futuro, i suoi semi sono gettati nell’oggi.

  1. Eppure questo patto può esistere e sussistere solo perché Dio stesso lo ha stabilito e ha deciso di mantenersi ad esso fedele al di là delle azioni del suo popolo. Esso può esistere perché parte dalla volontà di perdono di Dio: “…Io perdonerò la loro iniquità, non mi ricorderò dei loro peccati

Ecco il vero punto di partenza di questo rapporto rinnovato, ricreato: la grazia di Dio che giunge immeritata e che frantuma ogni visione meritocratica della relazione con il Signore, semplicemente perché, come si è visto nella storia d’Israele e poi della chiesa, i credenti non riescono ad essere sempre fedeli.

  1. Lo straordinario di questa Parola e promessa di Dio è che però nel momento in cui essa è pronunciata non rimane senza effetto: ha già in sé il germe del cambiamento per chi la riceve: “Io metterò la mia legge nell’intimo loro, la scriverò sul loro cuore…”

L’essere umano non può più essere lo stesso dinanzi alla volontà di Dio e la questione per ognuno non può più essere l’adesione ad un dettato scritto esterno, ma un’adesione interiore, spirituale alla volontà di Dio, volontà di amore per l’umanità.

Gesù Cristo, in cui questo nuovo patto si è inverato, ha detto in uno dei suoi discorsi finali, prima della sua morte e resurrezione, che noi non siamo più come servi che non sanno la volontà del loro padrone. Il rapporto è cambiato per iniziativa di Dio: noi siamo chiamati suoi figli e figlie, quindi come tali siamo messi a parte della sua volontà. Tramite Gesù Cristo veramente la legge non è più un codice esterno, ma è parte di noi quando accettiamo di adorare Dio in spirito e verità.

Ma ciò di cui Geremia parla è una promessa e non uno stato di fatto. Solo in speranza siamo completamente salvati dai nostri rancori, dalle nostre aberrazioni.

Questo modo inedito di condursi da parte di Dio non è ancora totalmente realizzato, nemmeno in Gesù, il Cristo che non chiude la storia di questa relazione, semmai la amplia estendendola a tutti i popoli della terra e non solo ad Israele. Tramite Lui siamo messi in grado di avere una caparra, una anticipazione di quel che sarà il rapporto di completa unione con il nostro Signore il che per noi significa accogliere il patto di Dio senza escludere nulla della sua azione, soprattutto il perdono: “Benedite coloro che vi maledicono!

Significa rendere operante il dono di riconciliazione che ci è stato dato e che nella Cena del Signore si esprime come una mensa offerta idealmente a tutti gli esseri umani se vi si vogliono avvicinare; una mensa alla quale Dio ci accoglie perdonandoci per le nostre tante infedeltà e volendoci riconciliare con Lui.

Ecco questo è anche il modo in cui Egli poi ci invita a ricevere gli altri. In essa Cristo si dà a noi e i cristiani si danno gli uni agli altri liberamente.

Solo se sapremo vedere attraverso l’amore di Dio che ha amato il mondo intero pur con le sue storture, potremo vivere il suo patto nei nostri rapporti quotidiani e nelle nostre scelte di vita rinnovandoli nel profondo.

Così l’augurio, la promessa che ci scambiamo è che questo nuovo anno appena iniziato sia sotto il segno del patto universale di Dio che ci ha chiamati ad essere suoi figli e figlie. Amen

past. Mirella Manocchio

Nuovo anno di vita e di amore

1 gennaio 2017

Luca 4,16-21; Giovanni 14,1-6; Giacomo 4,13-15

Oggi è il primo giorno dell’anno 2017.

Forse alcune e alcuni di noi presenti oggi sono rimasti svegli stanotte e abbiamo voluto  far passare queste ultime ore insieme ad altri nelle nostre famiglie o con i nostri parenti e  amici oppure altri sono rimasti soli soltanto per  meditare e riflettere  su questo nuovo anno e ai nuovi impegni e nuove responsabilità che ci aspettano.

L’anno nuovo 2017 è già iniziato e oggi siamo qui insieme per lodare il nome del nostro Dio che ha creato tutti gli esseri viventi. Siamo una parte di essi.

Leggere i testi biblici della Bibbia che ha proposto questo primo giorno dell’ anno il nostro libretto un giorno una parola è una cosa fondamentale per noi credenti. Li ascoltiamo che cosa –Dio ci viene ad annunciare.

Di nuovo rimettiamo le nostre anime nelle  mani di Dio e così le nostre vite saranno benedette.

Domenica scorsa  abbiamo festeggiato il natale di Gesù e oggi come ha proposto il nostro libretto passiamo subito al suo ministero, il suo impegno sulla terra.  Perché Gesù era nato?

Quale era la proposta di Dio per l’umanità?

Perché lui si è fatto come noi? ‘Emmanuele’ Dio con noi.

Nel vangelo di Luca abbiamo letto che Gesù nel giorno di sabato, in quel giorno di riposo (shabat) per  i giudei nella sinagoga  Egli prese il libro e lo lesse.

E giunse il tempo in cui si adempì la sua vocazione di consolare tutti con le sue parole e opere soprattutto quelli/e  che erano nelle situazioni svantaggiate.

Care sorelle e cari fratelli nel Signore, in questo anno ricominciamo  con la parola di evangelizzazione: dell’annuncio  della buona notizia.   Noi cristiani che cosa dobbiamo fare in questo anno?

Leggere la Bibbia per poi annunciarla,

annunziare CHI è colui che è stato scelto per andare a portare il messaggio che consola,

colui che guarisce le ferite nel cuore,

colui che annuncia la parola che dona libertà a quelli che si sentono schiacciati, soffocati, nel tempo giusto che Dio ha stabilito.

Impariamo ad ascoltare con la giusta regola la parola di Dio per noi.

Leggere l’AT e poi rileggerla nel NT è un modo per noi di riprendere e riascoltare ciò che era scritto che vale in eternità, come dice il Signore:  <Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno>>Mc.13,31.  Il NT è una specie di rilettura dell’AT.

La buona notizia che abbiamo ascoltato nel giorno del natale è che è Gesù stesso, colui che si mette all’opere nella vita dei credenti per manifestare ciò che può compiere, soprattutto, nella  vita di chi si sente debole e carente.

Il coraggio di lottare e di vivere è una energia, è la forza che dona Dio.

Parola e Opera sono state insieme incarnate in Gesù, questa è la promessa che ogni volta si sente fra noi.

Gesù  ha svolto la sua vocazione /chiamata ispirato dalla profezia di Isaia che si trova nel cap. 61 versi 1-2 , e ciò che abbiamo letto nel vangelo di Luca

Luca 4, 18 «Lo Spirito del Signore è sopra di me,
perciò mi ha unto per evangelizzare i poveri;
mi ha mandato per annunciare la liberazione ai prigionieri
e il ricupero della vista ai ciechi;
per rimettere in libertà gli oppressi,
19 per proclamare l’anno accettevole del Signore».

Che cosa vi fa pensare quando leggete testi biblici che riportano tutti e due i testamenti? Rileggere AT nel tempo Nuovo è come un ribadire un concetto, ricordare ciò che è stato detto per noi oggi, ora.

 

Come sapete  Sarah Mae, la nostra giovane animatrice  è stata negli stati uniti da maggio a agosto nell’ anno 2016. E una delle cose che ha portato a casa è  un film sulla vita di  John Wesley.

Mentre sua mamma e sua sorella sono state con noi in questi giorni  lei, ci ha fatto vedere questo film.

Abbiamo visto che J. Wesley era di una famiglia numerosa.

Una esperienza indimenticabile è stata quando  ci fu   un incendio  a casa loro di notte e tutti i suoi famigliari erano usciti e lui era rimasto in casa che dormiva.

Si salvò e questo fu riconosciuto come intervento di Dio. Sua mamma Susanna disse: ‘Dio ha un progetto per lui’.

Quando Wesley era diventato un predicatore ha  annunciato così la buona notizia dicendo a  qualcuno: Gesù ti salva,  Gesù ti guarisce, abbi fede in lui.

Il messaggio di  salvezza giungeva lì per lì,  all’orecchio dell’uomo che ne aveva bisogno.

Chiediamoci, domandiamoci se abbiamo sentito questo amore perché in questo modo che si fa trovare Dio.  Il vostro cuore è davvero riscaldato dal suo amore, altrimenti, non avrebbe senso la fede che professiamo in lui?

La conversione sta nel credere veramente alle sue parole, così come evangelizzava Wesley ad altri.

Wesley faceva sentire a quello che lo ascoltava come se stesso Gesù che parlasse con lui. Così ha svolto la sua missione nel nome di Gesù. Le profezie si avverano nei fedeli e nel  suo Nome.

Gesù ha svolto anche la sua missione , essendo stato obbediente alla volontà del Padre.  Egli  era nato per i poveri, per gli umili,  per gli oppressi, per gli schiavi.

Perciò in lui i poveri avranno un futuro.

La loro vita cambierà. La buona notizia è in questo.

Emmanuele “Dio con noi”. Dio si è avvicinato a noi affinché possiamo ascoltare la buona notizia.

Egli disse: Io sono venuto a cercare i perduti. I sani non hanno bisogno di un medico ma  lo sono i malati. E’ Per questo motivo che Gesù è stato inviato da Dio sulla terra. Gesù è venuto , è arrivato perché salvi coloro che sono perduti. Coloro che non sono perfetti( perché diventino perfetti in lui).

Con la presenza  di Gesù il vivere dell’uomo diventa completo/pienezza.

Come dice nel vangelo di Giovanni <<Io sono la via, la vita e la verità>>.

Dio si è incarnata in Gesù per avvicinarsi e incontrare  coloro che si sentono imperfetti cioè Gesù ha frequentato gli uomini e le donne che non avevano posto nella società. Quelli che sono stati emarginati. Quelli che in nessuno modo hanno possibilità di stare nei luoghi riservati ad altri uomini.

L’esempio modello di Gesù evangelizzatore è andare dappertutto per incontrare persone che sono malate. Gesù l’unto di Dio  è stato scelto per questi compiti  precisi per guarire e consolare nel tempo giusto.

Ricordiamo in questo primo giorno dell’anno che il tempio  riservato per ri-leggere e ri-ascoltare la profezia che si è avverata e che ci chiede di uscire  fuori ad annunciare e praticare,  non è ancora realizzato dappertutto. Perciò, molti sono ancora privi di un luogo per riunirsi liberamente per fare ciò.

Altri sono ancora perseguitati (nascosti) a causa della loro fede in Gesù.

Nell’AT i profeti ci hanno fatto sapere tante profezie: annuncio di condanna e quello di salvezza con la differenza che nel NT  il peccato c’è ancora ma viene perdonato per mezzo di Gesù il Cristo di Dio.

Noi che crediamo in lui siamo chiamati ad annunciare queste parole di salvezza.

Gesù è quello che ha portato guarigione a tante persone incontrandole e questo fatto deve essere uno dei motivi principali di testimonianza e conversione,

delle nostre testimonianze personali glorificando il suo santo nome e nello stesso tempo continua/segnala continuità della sua missione per mezzo di noi.

Quello che ho capito nella testimonianza di Wesley guardando quel  film sulla sua vita è che quando parlava con le persone che non credevano egli diceva proprio che il Signore le ama, il signore guarisce la loro malattia citando i versetti che testimoniavano questi fatti.

Significa che  ricordava loro quell’episodio in cui sono avvenuti questi avvenimenti.

Lui ha sperimentato  quella presenza, il suo cuore si è riscaldato  si leggeva un passo dei romani nella loro riunione.

Io ho creduto perciò ho parlato, si confessa con la bocca.

Bisogna che ci convertiamo nei fatti e non solo in parole.

Gesù è proprio con noi perché la sua sapienza continua a rinnovare la nostra vita portandoci verso la via della perfezione.

Noi non raggiungeremo mai la perfezione da soli ma con lui, come diceva ai suoi discepoli.

<<Senza di me non potete fare nulla>> disse ai suoi discepoli.

Fratelli e sorelle non dobbiamo stancarci di riascoltare le sue parole di insegnamento, per insegnarci/istruirci perché facendo così nutriamo le nostre anime di bene, per il nostro ben stare.

Gesù nel vangelo di Giovanni ha lasciato ancora questi parole ai suoi discepoli assicurandoli che li lascia per preparare i luoghi di dimora per loro.

Andare via in questo senso, lasciarli per preparare un luogo per loro è anche per noi oggi.

Questo anno che abbiamo lasciato ed è diventato il passato ci dice che dobbiamo solo aver sempre fiducia in lui.

Avere fiducia che in questo nuovo anno troveremo delle nuove case, delle nuove dimore in cui possiamo abitare insieme a lui. Iniziamo a creare e frequentare nuove persone, nuove amicizie, nuovi luoghi di incontro per sperimentare queste opportunità.

In questo anno cose vecchie sono passate, ecco vi sono le nuove. Io ho appena fatto il trasloco e abito ora qui nel primo piano. Ho già conosciuto un po’ dei miei vicini di casa. E forse ebbene che mi faccio conoscere a loro perché possano frequentare la nostra comune adunanza per ascoltare la parola, per spezzare il pane, e per donare ciò che abbiamo e possiamo.

Ogni cosa è provvisoria in questo mondo perciò cerchiamo di fare del  nostro meglio ogni giorno come se fosse l’ultimo giorno. Il tempo del domani è di Dio nostro.

Ogni anno, ogni settimana, ogni giorno, ogni ora, ogni minuto, ogni secondo conta nella nostra vita in lui.

Siamo chiamati a scandire , contare il tempo e questo è ciò ci ha fatto sapere colui che ci ha dato la vita come il salmista ci ha dichiarato.

ADP. L’anno scorso il pastore Noffke ha riassunto il suo sermone di capodanno in queste parole: ADP(il che vuol dire A Dio Piacendo).

Se Dio vuole quindi faremo questo o quell’altro.

Concludo il mio sermone invitandovi a recitare insieme come confessione di fede   i due testi biblici in cui è stata basata la prima tesi della Dichiarazione di Barmen nel 1934.

Gesù dice: <<Io sono la via , la verità e la vita; nessuno viene al Padre se non per mezzo di me>>. Gv. 14,6 <<In verità, in verità vi dico: chi non entra nella stalla delle pecore per la porta, ma da qualche altra parte, quello è un ladro e un assassino. Io sono la porta; chi entra attraverso di me, sarà salvo. Gesù Cristo, così come ci viene attestato nella Sacra Scrittura, è l’unica parola di Dio. Ad essa dobbiamo prestare ascolto; in essa dobbiamo confidare e ad essa dobbiamo obbedire in vita ed in morte. Gv. 10,1-9

Respingiamo la falsa dottrina, secondo cui la chiesa; a fianco, a fianco e al di là di quest’unica Parola potrebbe e dovrebbe usare come base della propria predicazione anche altri eventi e forze, figure e verità, riconoscendo loro il carattere di rivelazione di Dio. Amen.

past. Joylin Galapon