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Un occasione di culto ricordando la conversione di John Wesley.

 

Domenica 3 giugno la chiesa metodista di Roma ha celebrato il culto, nella giornata della memoria di John Wesley, insieme alla chiesa valdese di via IV novembre.
Insieme perché? Prima di tutto perché le comunità di Roma si trovano ormai a collaborare insieme su alcuni progetti concreti, ultimo in ordine di tempo la cura pastorale di un gruppo di sorelle e fratelli cinesi, e diventa, quindi, essenziale e prioritario pregare insieme e stare insieme, perché come dice il salmista, questo è bello e soave. Perché insieme ci riconosciamo fratelli e sorelle, e ci sentiamo comunità di credenti, insieme in cammino.
L’occasione è nata dalla recente traduzione, fatta dal pastore Emanuele Fiume, di alcune liturgie di John Wesley, e quale migliore occasione di un culto nei giorni precedenti la memoria della conversione del fondatore del Metodismo, in quel 24 maggio 1738 ad Aldersgate, dove ascoltando l’introduzione di Lutero all’epistola ai Romani fece profonda e gioiosa esperienza della giustificazione in Cristo.
Profonda, ma impegnativa, la liturgia proposta, tenuta dal pastore Fiume insieme alla pastora Galapon. Una liturgia della seconda metà del 700, con usi, valori e segni che possono oggi sembrarci lontani e senza apparenti significati profondi per la nostra fede di donne e uomini del XXI secolo.
Sicuramente non è stato semplice entrare nello spirito di un culto così differente e difficile, e lasciar parlare dentro di noi, e far diventare preghiera, le parole pronunciate nello svolgere della liturgia. È stato un po’ tornare alle origini: un segno sicuramente, un legame forte con chi con quelle stesse parole ha fondato e testimoniato lo spirito del metodismo. Un richiamo continuo e insistente a quei mezzi di grazia (means of grace) quali preghiera, meditazione e Santa Cena con i quali Dio entra e trasforma profondamente le nostre vite.
Vorrei sottolineare due aspetti che hanno sortito una curiosità spirituale profonda, e una riflessione che continua fin oltre la benedizione finale. La prima: la doppia recita del Padre Nostro, all’inizio e alla fine della liturgia, a segnare come il comune Padre ci convoca e ci riunisce, ci rende sorelle e fratelli, figli di un unico Padre comune. Ma nello stesso tempo, alla fine, un Padre che ci invita e ci invia a testimoniare nelle vie della nostra città la ricchezza e la gioia di una salvezza per tutti e donata a tutti.
Il secondo aspetto, la lettura dei dieci comandamenti a cui l’assemblea risponde con un responsorio cantato, come confessione di peccato e impegno a migliorarci nella nostra quotidianità di vita. Un legame forte che percorre l’intera storia della salvezza dal patto di Dio con Israele, al nuovo patto in Cristo.
Il sermone, tenuto dalla pastora Galapon, sul brano di Luca del ricco stolto, ci ha ricordato la stoltezza dell’uomo, l’insensatezza di un uomo che affida la vita solo ai suoi beni e da questi solo trae gioia e crede, stoltamente, di trovare la salvezza. E invece….. Beni materiali così importanti in un periodo di crisi, che si tratti di risparmi o di relazioni affettive, non sono la salvezza. Il punto fondamentale è: possediamo questi per noi o per condividerli? La ricchezza non condivisa, è il nocciolo. Un bene come una relazione non condivisa non aperta all’altro, non è evangelico, non porta alla salvezza.
La liturgia di Wesley e il testo di Luca ci hanno, in un unico itinerario, posto la domanda su quali sono le vere priorità dell’uomo e della donna, ieri come oggi e come viverle in una prospettiva evangelica nella condivisione profonda. L’occasione di confronto e dialogo non si è esaurita nel culto, ma è continuata in un momento di agape fraterna tra i membri delle due comunità nello scambio reciproco e nella condivisione del pranzo

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