,

Giornata della Riforma – Sermone del pastore Mario Sbaffi

Nella giornata in cui si ricordano i 500 anni dall’inizio della Riforma, proponiamo il sermone del pastore Sbaffi tenuto in occasione della giornata del 31 ottobre di alcuni anni fa. Un grazie particolare alla nostra presidente di chiesa, Maria Laura, che ci ha dato la possibilità di pubblicare la predicazione del suo papà.

“ Se perseverate nelle mia parola, siete veramente miei discepoli; e conoscerete la verità e la verità vi farà liberi.” ( Giovanni 8/31 )

Siamo chiamati oggi, come ogni anno in questo periodo, a celebrare la  Riforma: questo evento del XVI secolo che ha avuto una così grande influenza, non solo nella vita della chiesa, ma nella vita di molti popoli e nella cultura del mondo occidentale.

E’ dalla Riforma che è scaturito l’urto fra due autorità: Chiesa e Sacra Scrittura.

E’ dalla Riforma che la lotta all’analfabetismo ha avuto il suo vero e proprio inizio.

E’ dallo spirito della Riforma che è scaturita la concezione democratica nei paesi in cui essa si è affermata.

E, della Riforma, potrebbero essere citati molti altri frutti, non solo nella vita spirituale, ma anche in quella culturale e sociale.

Durante la seconda metà del XX secolo si è formata una corrente di pensiero, rappresentata in Italia soprattutto dal prof. Valdo Vinay, che considerava la Riforma un fatto ecumenico; ciò in quanto i riformatori non volevano la rottura con la chiesa di Roma ma il suo rinnovamento.

I riformatori, infatti, erano dei cristiani della chiesa occidentale i quali, dopo due secoli che il popolo cristiano reclamava una riforma della chiesa, e come allora si diceva: nel capo e nelle membra, intrapresero coraggiosamente quest’opera.

L’intenzione dei riformatori non era quello dello scisma nella Chiesa ma del rinnovamento della chiesa.

In quell’epoca questo rinnovamento non fu possibile e lo scisma fu inevitabile.

Negli ultimi decenni questo rinnovamento avviene, sia pure lentamente, nella chiesa cattolica, e proprio in virtù di quei valori che la Riforma ha messo in luce.

Non è forse vero che tutto quanto è avvenuto e sta avvenendo nel cattolicesimo, soprattutto dopo il Concilio Vaticano II, cioè dopo che la chiesa cattolica si è aperta all’ecumenismo, uscendo dalla sua torre d’avorio e prendendo contatto con le altre chiese cristiane, non è forse vero che tutto questo è sempre più chiaramente su di una linea “evangelica”?

Non per nulla le correnti conservatrici, di cui il vescovo Lefevre ed i suoi seguaci hanno rappresentato la punta più avanzata, rimproverando alla chiesa post-concilio di protestantizzarsi. (ed ora, 2017, perfino papa Francesco è accusato di eresia da alcuni suoi vescovi !ndr)

Perché se la Riforma fu essenzialmente una riscoperta in profondità

dell’ Evangelo, e questa riscoperta cambiò molte cose, oggi, che la Parola di Dio è tornata a circolare liberamente nel modo cattolico, oggi che gli spiriti e gli studiosi più avveduti fanno ad essa riferimento, molte cose vengono alla luce. Proprio come accade nella nostra vita individuale e personale: una parola della Sacra Scrittura, letta e udita molte volte quasi senza nulla scalfire nella nostra esistenza, ad un tratto, in una determinata situazione, ci si rivela in tutta la sua importanza, tanto da cambiare radicalmente il nostro modo di pensare e di vivere.

La Parola di Dio, infatti, questa Parola per mezzo della quale, secondo il racconto genesiaco e la testimonianza giovannea “ogni cosa è stata fatta” (Giovanni I, 3), questa Parola che in Cristo Gesù “si è fatta carne ed ha abitato fra noi piena di grazia e verità” /Giovanni I,14), questa Parola ci è stata rivelata e ci è stata tramandata nella Sacra Scrittura. E l’apostolo Paolo, rivolgendosi al discepolo Timoteo, afferma che essa è ispirata da Dio ed è utile a insegnare, a riprendere, a correggere, a educare alla giustizia affinché l’uomo di Dio sia compiuto, appieno fornito per ogni opera buona.” (2 Timoteo 3/16,18).

L’uomo di Dio!

E noi possiamo certamente aggiungere: la chiesa del nostro Signore Gesù Cristo.

I riformatori, quindi, quando proclamarono il “ Sola Scriptura “ posero la base sufficiente e dinamica per la vita della chiesa e per il suo rinnovamento.

Il che non significa far riferimento alla Scrittura in senso letterale, ma comprendere il messaggio in profondità ed in tutta la sua attualità.

La Parola di Dio prende di petto l’uomo, i popoli, le civiltà che nel tempo si susseguono e dice loro: si tratta di te, della tua causa, della tua vita, della tua esistenza.

Ma il “ Sola Scriptura “ vuol dire anche Parola di Dio senza termini aggiuntivi, senza interpretazioni prese a prestito dallo spirito dell’epoca, dalle mode del tempo, dalle filosofie spicciole, e perfino dalle scelte del predicatore.

Ma questo non vuol dire che la Parola di Dio sia un messaggio asettico, fuori del tempo. Anzi, è un messaggio che si incarna nel tempo, ma che non vuol lasciarsi strumentalizzare dalle mode del tempo.

E il messaggio della Riforma fu un messaggio di libertà.

Allora, innanzitutto, libertà nei confronti di una autorità ecclesiastica che era in contrasto con la verità evangelica. E da questa libertà molte altre ne sono scaturite, sia sociali che storiche.

E’ la verità che fa liberi non la menzogna.

E’ il perseverare nella Parola di Dio che ci permette di chiamarci discepoli del Cristo, non il mettere da parte il Suo insegnamento.

E la Chiesa del XVI secolo aveva offuscato molti degli insegnamenti della Parola di Dio; i suoi vescovi ed il suo clero non avevano più né la fermezza di un sant’Ambrogio né la purezza di un san Giovanni Crisostomo; anzi erano spesso guidati da considerazioni di interesse materiale, quando, addirittura, gli scandali della loro vita privata non toglievano ogni credibilità al loro ministerio.

E questa chiesa, non più credibile, cercava di mantenere le sue posizioni con l’influenza di una autorità che sfiorava spesso il sopruso, non soltanto nella sfera dello spirito ma anche in quella degli interessi mondani.

La Riforma, rivendicando la priorità dell’autorità di Dio sulle autorità umane, ha liberato l’uomo dalla schiavitù delle autorità che contraddicono la verità che ci è stata rivelata in Cristo Gesù.

Ogni tentativo di costrizione dell’anima umana è stata considerata dalla Riforma una usurpazione dei diritti di Dio.

E alla base della rivendicazione della libertà da parte dei riformatori, vi è il sentimento grave e puro del rispetto per l’autorità di Dio.

Ma la libertà proclamata dai riformatori non è anarchia: essa è sottomissione alla sola autorità legittima: l’autorità di Dio e della Sua Parola. E’ cioè una libertà fondata sulla verità. Dice, infatti Gesù nel nostro testo: “ Se perseverate nella mia parola siete veramente miei discepoli e conoscerete la libertà e la libertà vi farà liberi “. E Gesù aggiunge: “Se….. il Figliuolo (cioè Gesù Cristo stesso) vi farà liberi, sarete veramente liberi”.

La libertà è il dono della grazia divina; è una scelta che realizziamo innanzitutto in noi stessi, per sentirci poi liberi fuori da noi stessi, cioè nei confronti di quanto vorrebbe far violenza alla nostra libertà.

E non dobbiamo dimenticare che la libertà proclamata dai riformatori non è una qualsiasi libertà ma, innanzitutto, libertà in Cristo.

Non è quindi una libertà senza direzione, senza significato, senza orientamento. Non può essere confusa con l’arbitrio o con la pura fantasia. E’ una libertà che esprime l’azione dello Spirito Santo: “ Dov’è lo Spirito del Signore, quivi è libertà” (2 Corinzi cap.3 v. 17) afferma l’apostolo Paolo. Ed è una libertà che si esprime nel servizio: “Pur essendo libero da tutti, mi son fatto servo a tutti” (1 Corinzi cap. 9 v. 19 ) scrive ancora Paolo ai Corinzi.

E poiché l’apostolo Paolo nella stessa epistola esorta: “ fate tutto alla gloria di Dio” (1 Corinzi cap. 10 v. 32) noi dobbiamo ricordare che la nostra libertà non è solo indipendenza ma anche responsabilità. Per questo i riformatori, riaffermando sulla scia dell’insegnamento paolino ci hanno gettato in una avventura che è ad un tempo drammatica e gloriosa. Una avventura nella quale la Chiesa e i credenti sono chiamati a rendere sempre più acuto il senso della loro responsabilità.

Responsabilità che l’uomo veramente libero non deve mai dimenticare né verso Dio, né verso il suo prossimo.

Fratelli e sorelle, sono trascorsi oltre 4 secoli e mezzo (ndr. Oggi 500 anni ) dai giorni della Riforma e da allora molte cose sono cambiate nella vita della Chiesa e nei suoi rapporti col mondo incostante. Sono cambiate, soprattutto in quest’ ultimo  secolo nel quale ecumenismo e comunicazione di massa hanno agevolato la circolazione delle idee, hanno permesso il dialogo, hanno costretto la chiesa cattolica, non solo a diffondere la Parola di Dio, ma a confrontarsi con il suo messaggio e la Riforma, considerata per secoli una malefica eresia, è diventata anche per il cattolicesimo un punto di riferimento e i teologi protestanti sono oggi studiati in campo cattolico con una attenzione che talvolta supera quella che noi stessi prestiamo loro. Sono cioè i valori della Riforma che hanno continuato a fermentare nei secoli e che fanno lievitare, oggi più di ieri, la  cristianità. Ma di questi valori noi siamo i primi a dover saper vivere, sarebbe folle orgoglio spirituale accontentarci di additarli agli altri.

Per questo, celebrare la Riforma significa ricordare innanzitutto a noi stessi che quando non facciamo più riferimento all’ Evangelo, a tutto l’ Evangelo, quando lo mutiliamo o lo strumentalizziamo, noi ci allontaniamo dalla verità e non realizziamo la libertà dei figliuoli di Dio ma cadiamo sotto il giogo della schiavitù del presente secolo. E quando questo avviane tradiamo lo spirito della Riforma, di quella Riforma che ancora oggi ci ripropone il monito e le promesse delle parole di Gesù: “ Se perseverate nella mia parola, siete veramente miei discepoli”

Questo è il monito e la promessa è:” conoscerete la verità e la verità vi farà liberi”.

Che questo monito non sia dimenticato, che questa promessa ci sia di continuo incoraggiamento.

Amen

, ,

Soli Deo Gloria

,

L’Ultima Cena, anzi la Prima. La volontà tradita di Gesù

RICCA Paolo,
Claudiana, Torino, 2013,
pp. 289, Euro 18,50

 

Gli scopi di questo bellissimo volume di Paolo Ricca sono: capire che cos’è la Cena del Signore, perché essa divide anziché unire, come ritrovare la condivisione. Con grande chiarezza espositiva Ricca ripercorre le tappe storiche delle diverse interpretazioni della Cena, partendo dalle fonti bibliche, che già evidenziano la diversità di posizioni nei racconti di Marco e Paolo, e dalla Didachè, che introduce il termine Eucaristia, per passare ai Padri della Chiesa, come Ignazio di Antiochia, che sottolinea il ruolo decisivo del vescovo, Giustino Martire, che introduce l’idea della transustanziazione, e Agostino, che assegna un ruolo centrale alla Parola e alla dimensione ecclesiale e distingue tra segno materiale e realtà significata. Sin dall’antichità, quindi, esistevano divergenze: una lettura realista affermava la presenza reale di corpo e sangue di Cristo nel pane e nel vino; una lettura simbolica vi vedeva solo memoria e annuncio. La controversia prosegue in epoca medievale e, più passa il tempo, più le differenze interpretative si fanno sottili. Dopo la proclamazione del dogma della transustanziazione nel 1215 e la presa di coscienza dei Valdesi, che lentamente si staccano dalla tradizione romana per aderire all’interpretazione riformata, Ricca dedica ampio spazio al dibattito interno alla Riforma, caratterizzato da una grande varietà di posizioni. Il dissidio vedeva contrapposti soprattutto Lutero e Zwingli: il primo, avverso alla transustanziazione, ma sostenitore comunque della presenza reale di Cristo nella Cena; il secondo fautore dell’interpretazione della Cena come simbolo e memoriale, ringraziamento e giuramento. Il dissidio viene superato solo con la Concordia di Leuenberg del 1973, che però, a parere di Ricca, ha il difetto di accantonare completamente la posizione zwingliana e di non tenere affatto conto della nuova presenza di Cristo come Spirito, dopo l’Ascensione. A Calvino il merito di aver cercato di mediare tra le posizioni estreme, proponendo una visione che contesta sia l’idea cattolica di transustanziazione e di sacrificio, sia quella luterana, che vuole comunque localizzare la presenza di Cristo negli elementi della Cena, sia quella zwingliana, che riduce la Cena a pura azione simbolica. Secondo Ricca, il merito di Calvino è aver insistito sul concetto di “mistero” della Cena, che trascende la nostra comprensione. Alcuni capitoli sono dedicati alle Confessioni di fede evangeliche, al Concilio di Trento e alle sue condanne, al Concilio Vaticano II e alle novità da esso introdotte: nonostante la riconferma delle idee di transustanziazione e di sacrificio, non ci sono condanne, si insiste sulla centralità della Parola e sull’uso della lingua parlata, si consente la comunione sotto le due specie. Densa di contenuti teologici è la conclusione: la Cena, che nella volontà di Gesù doveva essere elemento di unione fra i Cristiani, è stata invece  motivo di  divisioni e reciproche esclusioni, soprattutto perché le Chiese se ne sono impadronite, arrogandosi il diritto di decidere gli invitati, di escludere altre Chiese, di spiegare le parole che Gesù non ha voluto spiegare. L’invito finale è di mettere in secondo piano le interpretazioni, che non sono elementi costitutivi della Cena, e trovare il punto d’incontro nel pane, nel vino e nelle parole di Gesù, come fa oggi l’ospitalità eucaristica, che consente agli appartenenti a chiese diverse di sentirsi uniti dalla fede comune, e quindi ospiti non di una Chiesa, ma di Gesù stesso, che invita tutti alla sua mensa.