Tutta la creazione di Dio è molto buona!

GIORNATA MONDIALE DI PREGHIERA

meditazione tenuta dalla Pastora Mirella Manocchio

presidente OPCEMI

Genesi 1,1-31
Cara sorelle e cari fratelli,
leggendo le note geostoriche sul paese di Suriname ho scoperto che fa parte della regione amazzonica della Guiana il cui nome in lingua Kalina vuol dire “terra di molte acque” ed in effetti la zona e in particolare proprio Suriname è percorsa da miriade di fiumi e torrenti che hanno permesso alla lussureggiante vegetazione tropicale di crescere, di dar vita ad una meravigliosa biodiversità patrimonio naturale dell’Unesco e di aver quindi contribuito, insieme ai tanti minerali che si trovano nel sottosuolo, a far classificare nel 1995 dalla Banca Mondiale Suriname come il diciassettesimo paese più ricco al mondo per le sue risorse naturali.
Eppure scorrendo le stesse note geo-storiche si capisce come queste grandi ricchezze naturali, per l’enorme valore economico, sono diventate loro malgrado la sciagura del paese, sfruttato in epoca coloniale e postcoloniale fino ad oggi dove le estrazioni illegali di minerali costituiscono una delle cause maggiori dell’inquinamento proprio delle acque.
Come se ciò non bastasse, i cambiamenti climatici e il conseguente innalzamento del livello del mare rischiano di far sparire sotto il livello delle acque molta parte della zona costiera che copre circa il 15% del territorio.
Capite bene come tutto questo si ripercuota pesantemente nella vita delle persone e perché le donne del Suriname abbiano voluto stimolare la nostra attenzione su un tema che ci tocca tutti e sempre più da vicino.
Queste nostre sorelle nella fede non hanno però voluto partire dall’etica teologica per aiutarci a riflettere sul nostro approccio ai temi ecologici, ossia: cosa possiamo fare noi come credenti? Quali stili di vita conformi al Vangelo possiamo adottare nel nostro approccio alla creazione tutta?
Certamente domande importanti che un po’ tutti ci facciamo e che meritano risposte adeguate.
Ma per farlo con consapevolezza e davvero come credenti, non soltanto come cittadine e cittadini impegnati ecologicamente e socialmente, le nostre sorelle ci hanno voluto far partire dalla teologia fondamentale rimandando ad una riflessione sull’origine del creato voluta da Dio.
E allora guardiamo a questo testo che tante discussioni e pure tante divisioni ha portato nel mondo cristiano. Non voglio fare con voi una lettura che sottolinei le questioni di genere pure in esso insite e nemmeno puntare alla diatriba tra creazionisti che prendono letteralmente il brano ed evoluzionisti che vogliono confutarlo su basi scientifiche.
A noi oggi interessa capire qual è il messaggio profondo che questo testo ci offre, quale riflessione vuole far emergere nel nostro vissuto quotidiano di credenti.
Innanzitutto ci dice che la creazione non è un atto casuale, fortuito, ma un preciso atto di volontà di Dio ed un atto di amore. Perché dico questo?
Perché all’inizio la terra è informe e vuota, un magma indistinto, insomma il caos. E, come ci spiegano gli esegeti Dio, opera la creazione per separazione, separa la luce dalle tenebre, le acque dalla terra e via di seguito, e imprimendovi un ordine progressivo che culmina nella creazione umana e l’istituzione dello shabbat.
Dio fa tutto ciò chiamando all’esistenza la creazione attraverso la sua Parola che ha un valore performativo, ossia fa, mette in atto, crea quello che dice: “Dio disse: ‘sia luce!’ e luce fu.”
Eppure prima della Parola di Dio vi è un altro soggetto che guarda alla creazione ancor prima che essa divenga tale, quando ancora è un caos informe: lo Spirito di Dio che aleggia sulla superficie. Dio guarda a questo caos, vi aleggia sopra attraverso il suo Spirito e già si prefigura la bontà e bellezza che ne può venir fuori. Ecco l’amore di Dio per la creazione che si esprime prima ancora che essa sia, come una madre che ama il figlio o la figlia che ha in grembo e già si prefigura un futuro di gioia, benessere e bellezza per il nascituro!
E cosa accade al momento in cui il nascituro viene al mondo? Qual è la prima cosa che ci viene da dire quando vediamo un bimbo o una bimba appena nati?
“Ma che bella bambina!”
Non pensiamo certo se questa sarà una brava bambina, ma ciò che ci salta agli occhi è la bellezza armonica di quel piccolo corpo, la sua splendida e fragile completezza.
Ecco cosa esclama Dio quando vede l’opera della sua Parola: la sua creazione è bella, dà gioia nel vederla!
E sempre per rimanere nel paragone genitoriale, quando Dio chiama all’esistenza le varie parti della sua creazione non può che benedirle ossia non può che augurare loro il meglio per il futuro, proprio come farebbe un genitore con i figli appena nati.
Dio interloquisce subito con la sua creazione e non l’abbandona a se stessa appena creata, ma esprime il suo amore nella benedizione – crescete e moltiplicatevi – che è anche un impegno da parte sua perché certo un piccolo bambino non potrà crescere bene se non ha accanto genitori premurosi.
Non è un caso che il teologo Walter Bruegemann parla di un atteggiamento divino nella creazione improntato alla prossimità e alla distanza. La prossimità tra creatore e creatura, scrive, “è dovuta alla costante sollecitudine di Dio nei confronti della sua creazione (…) e dell’altrettanto sollecita risposta della creazione. (…) E tuttavia, in questa prossimità fiduciosa c’è una distanza che consente alla creazione libertà d’azione. La creazione non è sopraffatta dal creatore. Egli non solo ne ha cura, ma la rispetta lasciandole libertà nel rapporto. (…) La grazia di Dio consiste nel fatto che la creatura che egli ha chiamato all’esistenza, ora egli la lascia esistere.” (Genesi, Claudiana, pag. 48)
Nell’insieme della creazione vi sono anche gli esseri umani, creati per ultimi e nella somiglianza con Dio, ai quali viene rivolta una benedizione più complessa delle precedenti perché viene detto che oltre a essere fecondi, moltiplicarsi e riempire la terra essi dovranno rendersela soggetta e dominare gli animali.
Queste parole di Genesi sulla creazione umana, nell’immaginario cristiano e non, hanno rimandato per secoli l’idea – utilizzata poi a sostegno di pratiche economiche di sfruttamento – che il genere umano fosse qualcosa di diverso e staccato dal resto della creazione, tanto da poterla usare e sfruttare a piacimento come suo possesso speciale ricevuto da Dio.
Un atteggiamento questo che colpì profondamente i pellerossa quando incontrarono i primi europei. Loro che invece avevano un approccio alla natura basato sull’idea che gli esseri umani sono figli della terra, quindi parte integrante del Creato su cui soffia il Grande Spirito.
Vi dice qualcosa questa loro comprensione della creazione?
Eppure – come oggi sottolineano tanti esegeti e teologi – nel testo di Genesi vi sono elementi che avrebbero dovuto portare a una concezione non troppo dissimile da quella dei pellerossa.
La creatura umana è creata ad immagine e somiglianza di Dio e questo dovrebbe aiutarci a comprendere il messaggio che vuole consegnare all’umanità tutta perché se l’immagine divina veicolata dalla Bibbia è un mandato di potere e responsabilità nei confronti della creazione come quella esercitata da un pastore sul suo gregge oppure quella di sollecito amore materno e paterno, allora comincia a delinearsi anche quale può essere il reale valore del mandato affidato all’umanità.
Non sfruttamento e dominio assoluto e coercitivo, ma sulla scorta dell’agire di Gesù di Nazareth, figlio di Dio per eccellenza, servizio e sollecitudine nel garantire il benessere di tutte le creature cosicché la promessa che ciascuna di essa ha ricevuta possa essere fruita appieno.
Ecco questa comprensione del dettato biblico, un tempo portata avanti per lo più dalla mistica e da pochi studiosi isolati quali Albert Schweitzer o Teilhard de Chardin, con il passare del tempo è divenuta patrimonio dei molti – pensiamo alle assemblee ecumeniche di Basilea e Graz o a quelle del CEC di Camberra e Porto Alegre o ancora alla Carta Ecumenica – e ha portato la comunità dei credenti a comprendere la natura non come organismo vivente messo al servizio dell’essere umano, ma come patner con cui l’umanità è interconnessa similmente a Noè, l’uomo fedele a Dio rispetto all’umanità corrotta, che si salva solo assieme agli animali.
Ebbene se ci spostiamo dal mondo biblico al nostro, stiamo assistendo ad approcci più consapevoli nei confronti della salvaguardia del creato e delle sue risorse a livello delle potenze mondiali, soprattutto considerando il fatto che le risorse non sono inesauribili. Peccato che questo nuovo atteggiamento sia dettato per lo più da ragioni economiche, le stesse che al contempo frenano certe decisioni di drastico controllo, quali ad esempio la riduzione di emissione di anidride carbonica, perché considerate nocive per lo sviluppo economico-finanziario delle nazioni.
Certo nel rivolgerci a chi ragiona solo in termini di profitto e di potere, l’unico modo per far si che ci senta da quell’orecchio è quello di parlare lo stesso linguaggio.
Ma per noi credenti l’approccio non può essere solo utilitaristico, anche perché la questione della salvaguardia del creato va sempre connessa col modo in cui le risorse esauribili del nostro pianeta vengono distribuite. Se circa il 20% della popolazione mondiale gode di quasi l’80% delle risorse planetarie mentre circa un terzo della popolazione globale ha un’alimentazione insufficiente, se l’acqua da diritto viene trasformata in bisogno economicamente sfruttabile, allora quello che le chiese sono chiamate a fare diventa un discorso profetico di giustizia sociale. Questo ce lo dicono anche le nostre sorelle del Suriname.
Ritengo che fin dalla Scuola Domenicale sia necessario spiegare biblicamente e mostrare coi fatti che il Signore ci ha creati come parte integrante della sua meravigliosa creazione e che ce l’ha affidata per conservarla nella sua bellezza e splendore, facendo in modo che il godimento delle sue ricchezze permetta il benessere di tutti e non solo di una parte dell’umanità.
È un discorso che cambia prospettive e azioni sia nel quotidiano, sia nel complesso delle relazioni economico-sociali della terra, ed è il compito originario affidatoci da Dio come suoi figli e figlie.
Ebbene se non cercheremo con tutte le forze di portarlo avanti la creazione tutta, come dice l’apostolo Paolo in Romani 8, continuerà a gemere e ad essere in travaglio nell’attesa impaziente della manifestazione dei figli e delle figlie di Dio e di essere liberata dalla schiavitù della corruzione.
Chiudo le mie riflessioni con un brano tratto da un libro di Jurgen Moltmann che parafrasa Agostino nelle ‘Confessioni’: “Quando amo Dio, amo la bellezza dei corpi, il ritmo dei movimenti, la lucentezza degli occhi, gli amplessi, i sentimenti, gli odori, le tonalità di questa variopinta creazione. Vorrei abbracciare tutto quando amo te, Dio mio, perché io Ti amo con tutti i miei sensi nelle creature del Tuo amore, Tu mi aspetti in tutte le cose che mi incontrano.” (Lo Spirito della vita, Queriniana, pag. 119)
Amen

​​​​Past. Mirella Manocchio

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