Il popolo di Gesù
Esodo 19,1-6
Sarete tra tutti i popoli della terra il mio tesoro particolare; mi sarete un regno di sacerdoti, una nazione santa. Questo, e nulla meno, annuncia Iddio a Israele. E poco prima, quasi a rafforzare la propria promessa, Dio ricorda la propria potenza, utilizzata a favore del popolo: Avete visto che cosa ho fatto agli Egiziani e come vi ho portato sopra ali d’aquila: un passo citato anche da uno dei nostri inni più conosciuti. La Scrittura ci parla di una relazione strettissima, unica, tra Dio e Israele. Per noi cristiane e cristiani, la persona di Gesù costituisce il momento più alto di questa relazione. Chi ha incontrato Gesù lo ha compreso come una specie di profeta ebreo; e certamente Ponzio Pilato, che lo ha fatto uccidere, ha inteso eliminare un predicatore ebreo da strapazzo, forse non particolarmente pericoloso, ma in ogni caso inutilmente disturbatore. Eliminare uno di questi fanatici ebrei, deve aver pensato il procuratore, forse è utile, ma anche se non lo fosse, non può far danno.
Dovremmo chiederci se noi, cristiani e cristiane, comprendiamo a sufficienza questo specialissimo rapporto di Dio con il popolo ebraico. Nel Credo, ad esempio, ripetiamo che Dio i è fatto essere umano. Questo è vero ed è importante, ma secondo la Bibbia non è sufficiente. Dio si è fatto ebreo. La storia del predicatore di Nazareth va compresa alla luce della vicenda del suo popolo: Gesù, come si esprime il vecchio Simeone nell’evangelo di Luca, è veramente la Gloria di Israele, ma manifestazione definitiva del rapporto tra Dio e il suo popolo.
Israele è il tesoro particolare di Dio; e Gesù è il Figlio diletto. Il libro dell’Esodo parla della potenza di Dio che ha distrutto gli Egiziani, e delle ali d’aquila che hanno innalzato il popolo verso la salvezza. Tuttavia, l’elemento più profondo della comunione tra il popolo eletto e il suo figlio Gesù è il destino tragico che accompagna entrambi. Quella di Israele è una vicenda di esilio, dispersione, persecuzione, fino al progetto diabolico di annientamento del XX secolo; la storia di Gesù conduce alla croce. Non è facile, a quanto pare, essere gli eletti di Dio. Chi è scelto dal Signore non siede sui troni dei potenti, neanche dei potenti della religione; non gode di privilegi, non fa parte dei trionfatori della storia.
Il Nuovo Testamento riprende le parole di Dio a Israele, sacerdozio regale, nazione santa, e le applica alla chiesa (I Pietro 2,9), a noi. Le discepole e i discepoli di Gesù Cristo partecipano al destino del loro Signore e, in lui, anche a quello di Israele. Non vuol dire che diventiamo ebrei: ma in Gesù condividiamo il rapporto speciale di Dio con Israele. Come Israele, riceviamo un compito, che il libro dell’Esodo definisce così: ubbidire alla voce di Dio e osservare il suo patto. Israele cammina nel deserto e poi attraversa la tragedia della storia, nell’ascolto, a volte fedele, a volte fallimentare, del comandamento di Dio. Lo stesso che, secondo la tradizione, è sulle labbra di Rabbi Akivà, mentre Romani lo bruciano vivo a fuoco lento; lo stesso che, secondo un famoso romanzo, intitolato l’Ultimo dei giusti, è sulle labbra dei testimoni che muoiono nella camere a gas: Ascolta Israele, il Signore, il nostro Dio, è uno. Per noi Gesù stesso è la voce, il patto, il comandamento di Dio. Gesù ci precede, nella nostra piccola esistenza , come il Signore precedeva Israele nel deserto. Dove e come possiamo incontrarlo? Dove e come la sua voce risuona chiara, senza possibilità di errore, al di là del nostro dubbio, della nostra confusione e della nostra pigrizia spirituale?
Anzitutto nella chiesa, là dove è predicata la parola e celebrata la cena. Ascolta Israele, appunto, ascolta chiesa! Senza l’ascolto, non c’è rapporto con Dio. Il nostro primo compito in questo tempo complicato consiste precisamente nel tornare in chiesa e nell’aiutare le persone a tornare in chiesa, dopo la pandemia e le sue conseguenze. La comunità riunita nell’ascolto testimonia la presenza di Dio in un mondo che non lo riconosce
Il secondo luogo dell’incontro con Dio è colui o colei che chiamiamo il prossimo, colui o colei che il Signore ci pone accanto e mediante il quale, o la quale, risuona la sua voce. Seguire Gesù, come Israele camminava nel deserto, significa prestare orecchio alla voce di chi chiede aiuto. Il Signore parla e comanda mediante la voce del prossimo.
Ripetiamolo: Israele e Gesù ci testimoniano che non si tratta di una marcia trionfale. Non è nemmeno la strada che noi ci siamo scelti, bensì quella che Iddio ha scelto per noi. E una volta che Dio ha scelto, non c’è vita, non c’è presente né futuro se non nel cammino dell’obbedienza.Il cammino di Israele è stato spesso zoppicante e persino Gesù è inciampato e caduto, anche e proprio nel momento più drammatico della sua vita. La cosa più importante, quando si cerca di essere cristiani, non è non cadere, bensì riprendere il cammino. Nell’ascolto del Cristo, che ci parla nella predicazione della chiesa e nel bisogno dell’altra e dell’altro.
Amen
prof. Fulvio Ferrario