Là dove è Gesù

Giovanni 12,20-26
Chi sono questi “Greci”, che chiedono a Filippo di vedere Gesù? Visto che sono diretti a Gerusalemme per la festa, si tratta di simpatizzanti o convertiti all’ebraismo, oppure, semplicemente, di ebrei di lingua greca. Hanno sentito parlare del grande personaggio, vorrebbero saperne di più; anzi, vorrebbero vederlo, magari ascoltare la sua predicazione potente o, meglio ancora, assistere a qualche miracolo.
A volte capita anche a noi che ci chiedano di Gesù. Non di vederlo, naturalmente, ma di saperne qualcosa. Tu che vai in chiesa, e in una chiesa un po’ strana; o nel mio caso, tu che sei pastore, che mi dici di Gesù? In fondo, è una curiosità che fa piacere. Una volta si diceva: è un’occasione di testimonianza, che permette di dire qualcosa e chissà, magari di avvicinare qualcuna o qualcuno al messaggio di Cristo e alla chiesa evangelica. Filippo parla con Andrea ed entrambi vanno da Gesù. C’è interesse, gli dicono, nei nostri confronti, abbiamo una certa “visibilità”. Nel versetto che precede immediatamente il nostro brano, i farisei si lamentano, dicendo che “tutto il mondo gli va dietro”. Quando Gesù, in qualche modo, “fa notizia”, i suoi discepoli, di ieri e di oggi, sono contenti. Hai visto mai, magari da questo interesse esce qualcosa di buono.
Il versetto successivo inizia così: “Gesù rispose loro”. In realtà, non c’è nessuna risposta. Gesù parla di tutt’altro. Parla anzitutto della sua morte. L’ora è venuta nella quale il Figlio dell’uomo dev’essere glorificato: ma nell’evangelo di Giovanni glorificato vuol dire: ucciso. Il tempo in cui si accorreva a vedere i miracoli, ma anche il tempo delle discussioni e delle polemiche, sta per finire. Non si tratta di cercare visibilità, come oggi si dice, per Gesù e per il suo messaggio. Il Signore è completamente concentrato sullla sua missione e sul suo futuro: il rapporto con Gesù non passa attraverso un “primo contatto” (“vediamo un po’ se è interessante”), ma ormai passa attraverso la croce. Chi vuole conoscere Gesù, dece fare i conti con la sua morte.
Nella prospettiva di Giovanni, la morte di Gesù non è una sconfitta: l’abbiamo già visto, si tratta della sua “glorificazione”; altrove si dice: del suo “innalzamento”. Tale morte è come quella del seme, che rimarrebbe solo, se continuasse ad essere seme, mentre morendo porta molto frutto. Ma resta morte, resta la porta stretta dalla quale la fede è chiamata a passare. Altro che vedere Gesù! Altro che coltivare la speranza in una popolarità del Signore, dell’evangelo o della chiesa! Colui che i Greci, ma anche gli ebrei, ma anche noi, vedranno, colui con il quale dovranno, dobbiamo, confrontarci, è l’uomo ucciso sul Calvario, il Crocifisso che dice di essere la rivelazione di Dio. A chi vuole vedere un uomo religiosamente interessante, viene offerto il messaggio della croce, il messaggio di un Dio diverso.
Attenzione però. Nessuno creda che al desiderio dei Greci di vedere si sostituisca qualche riflessione teologica un po’ complicata sull’identità di Dio. Ho voluto includere nel testo della predicazione i versetti 25 e 26, non previsti dal lezionario, perché sono essi a spiegare di che si tratta concretamente. Non di vedere Gesù, non di partecipare a un evento religioso interessante e nemmeno a una lezione di teologia. Si tratta di servire il Signore, cioè di essere là dove egli è. E dov’è il Signore? E’ là dove risuona la predicazione, dove lo si loda nel culto, dove si celebra la cena, dove la chiesa si riunisce, fisicamente o anche per via telematica. L’abitudine di molto protestantesimo, da secoli, di snobbare il culto è un’offesa a Gesù. Per essere altrove, rispetto a dove Cristo si rende presente, devi avere motivi talmente drammatici da essere anche, di fatto, del tutto eccezionali.
Inoltre, Cristo è là dove donne e uomini soffrono; è là dove c’è solitudine; è là dove non c’è nulla di bello da vedere, perché anche le persone diventano invisibili. Là è Cristo, e là sono il discepolo e la discepola. Quando “l’ora è venuta”, non c’è più spazio, accanto a Gesù, per quelli che “ci devono pensare”; per quelli che, poverini, sono tormentati dai dubbi, vorrei, ma non sono sicuro, vorrei, ma devo vedere (appunto!). La croce non è un club di discussione, nemmeno di discussione biblica o teologica. La croce è il luogo dove si decide chi sta con Gesù e chi ha altro da fare. Magari discutere di religione, o dei suoi problemi esistenziali, o di quello che vorrebbe per sé e per la propria vita.
Già, la propria vita. Chi la ama la perde, dice Gesù, e chi la odia la trova, addirittura in dimensione eterna: che non vuol dire in paradiso, ma vuol dire: la trova pienamente, la trova in tutta la sua ricchezza, la trova in abbondanza. L’”odio” del quale qui si parla consiste semplicemente (semplicemente?!) nel rinunciare a mettere al centro se stessi, i propri problemi e le propie domande. Nessuna domanda è veramente importante tranne una: dovè Gesù, dove si rende presente questo Figlio di Dio che va verso la croce? Ancora una volta, non la domanda teorica, che si rompe la testa alla ricerca di chissà quale segno della presenza del Dio nascosto, bensì la domanda semplicissima e del tutto pratica: dove la parola di Dio è predicata? Dove sono le persone dimenticate e invisibili, presso le quali Cristo si rende presente? Voglio sapere dove sono, perché quello è il mio posto, il posto dove finoisce una vita tutta centrata su se stessa e sulle proprie paturnie, e comincia la vita eterna, quella con Gesù.
Amen
prof. Fulvio Ferrario
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