Osanna al Figlio di Davide

Zaccaria 9,9-10

Matteo 21,1-11

Care sorelle e cari fratelli nel Signore,

Il tempo della missione terrena di Gesù si conclude a Gerusalemme. I quattro evangelisti hanno tracciato e testimoniato la Sua entrata nella città con un carattere particolare. Molti pellegrini stavano arrivando per la festa di Pasqua, ma Gesù non era un normale pellegrino. Fino a quel momento era andato a piedi per le strade della Galilea, della Samaria, della Giudea, ma a Gerusalemme entrò solennemente, seduto sopra una cavalcatura.

Entrò come un re. Per fare questo, aveva due possibilità. I conquistatori entravano nelle città sottomesse seduti su un cavallo e completamente armati.

Gesù non prese neanche in considerazione questa possibilità e scelse invece la seconda: entrare in modo pacifico.

Nell’antichità, quando un re visitava il suo popolo, per dimostrare la sua intenzione di portare la pace, era consuetudine sedersi su un asino.

Di questo ha parlato il profeta Zaccaria: “Verrà un re che porterà a Gerusalemme una pace senza fine”. I pellegrini avevano dunque visto nell’ingresso di Gesù il compimento della profezia, l’arrivo della salvezza e della pace. Gesù, però, sapeva che il suo incontro con la città non sarebbe stato tutto trionfale; la sua missione terrena doveva concludersi con l’arresto e con la morte. Perché dunque accettare di entrare solennemente là dove dopo pochi giorni sarebbe stato disprezzato e ucciso? Ne valeva la pena?

Egli doveva arrivare nella città, ma per farlo avrebbe potuto scegliere un modo meno appariscente. Invece, vuole sottolineare il significato del suo ingresso; dare più valore alla profezia che al potere delle autorità umane. Sa che le autorità religiose e il potere romano non potranno impedirgli di far nascere, attraverso il dono della sua vita, una nuova umanità. Gesù ha scelto di donare la sua vita per una nuova umanità. Egli ha donato se stesso per creare una nuova citta. Egli ha donato la sua vita agli uomini e alle donne perché potessero essere felici. La felicità dell’essere umano sta nella sua scelta di stare dalla parte in cui la giustizia di Dio regna. Noi siamo qui per accogliere il nostro re.

Ogni domenica riceviamo in dono il pane cioè le parole che dona vita, un pezzo alla volta perché ne comprendiamo e ne portiamo con noi nell’arco della settimana. Purtroppo, capita molto spesso che non siamo come vorremmo essere, persone mature capaci di vincere le tentazioni che ci avvolgono e ci incatenano in questo mondo, ma per questo siamo qui, per ricevere le parole di grazia del Signore per una nuova umanità che aveva inaugurato al suo arrivo e per farne parte nella sua edificazione.

Da che parte vogliamo stare allora? Cominciamo a deporre le nostre armi e le nostre spade che fanno male e che creano divisioni e conflitti. Gesù ha donato la  pace come egli disse: “Vi lascio pace; vi do la mia pace, non vi do come il mondo dà cioè non ve la do come il mondo la dà”cfr Gv.14,27.

Gesù, il Re che gli evangelisti avevano parlato e il Messia che i profeti avevano annunciato,  è venuto per invitarci a scegliere di stare dalla parte dove c’è la vita.

Questo egli sa, a questo guarda, e lo afferma accettando il saluto dei pellegrini: «Osanna al Figlio di Davide! Benedetto colui che viene nel nome del Signore! Osanna nei luoghi altissimi!».

Oggi, come possiamo accogliere Gesù?

Il primo modo è ricordare che Egli è il benedetto, non perché riceve il bene, ma perché Egli lo dona. Cerchiamo di considerare che, per accogliere Gesù, dobbiamo sempre venire al culto come una comunità di principianti (as always a comunity of beginners). Possiamo così in questa maniera ricevere sempre la capacità rinnovata di osannare il suo Santo nome.

Il secondo modo è tener presente che egli viene:

Anche se nel tempo che viviamo sembra crescere sempre di più il buio che la luce, è giusto lodarlo, è giusto celebrare il culto con gioia, perché Egli ci concede di camminare insieme sotto la sua guida. E quando egli ci guida, la volontà di Dio diventa realtà e il cammino si fa chiaro.

Un anno fa  i cristiani si erano radunati per il culto della Domenica delle Palme a casa o nei luoghi limitati a poche persone. Un anno fa, non ci eravamo riuniti in questo tempio. Non avevamo i rami di olivo vicino al tavolo per la santa cena come abbiamo avuto per anni. Oggi è una benedizione essere qui insieme.  Intravediamo già la vita in mezzo alla morte. Qualche giorno fa, io e il nostro fratello Italo Grassi ci siamo sentiti per uno stesso motivo.

Ho pensato che, se non fosse venuto in chiesa a portare i rami di ulivo, sarebbero bastate poche foto di lui con loro sulle nostre slides. Noi stiamo continuando ad andare avanti, sperando che questo tempo di pandemia finisca. Noi supereremo tutto con l’aiuto del nostro Signore che sta operando nei scienziati, nell’agire dei vaccini, per salvare questa umanità.

Care sorelle e cari fratelli nel Signore, chi di voi legge ogni giorno(o spesso) il nostro libretto “un giorno una parola” si accorge che per oggi avrei dovuto condividere una riflessione sulla lettera agli Ebrei. E’ stata una mia scelta di prendere in considerazione il vangelo di Matteo per evidenziare l’occasione di questa domenica delle Palme e il significato per noi come una comunità di fedeli credenti, e anche per recuperare il vero senso della fede cui riponiamo in Dio sin dall’ora della fondazione del mondo. Ci tengo a ribadire che la nostra fede ha un fondamento in ciò che ha compiuto per molti di noi. In Eb.12,2-3: Gesù, colui che crea la fede e la rende perfetta. Per la gioia che gli era posta dinanzi egli sopportò la croce, disprezzando l’infamia, e si è seduto alla destra del trono di Dio. 3 Considerate perciò colui che ha sopportato una simile ostilità contro la sua persona da parte dei peccatori, affinché non vi stanchiate perdendovi d’animo.”

La fede è avventura di una vita consapevole di essere guidata dal Signore come fu per Abramo. Leggiamo al cap. 11:1-2: “Or la fede è certezza di cose che si sperano, dimostrazione di realtà che non si vedono. 2 Infatti, per essa fu resa buona testimonianza agli antichi.”

Il professore Corsani commenta  questi passi affermando che la fede è più che certezza o fiducia. Nella fede, già si realizza appieno la realtà, la sostanza stessa delle promesse, per l’assoluta certezza che il credente ha nella realizzazione delle promesse divine: in Cristo infatti questa realizzazione è già iniziata. La fede non ha bisogno di dimostrazioni o di prove: è essa stessa già radicata com’è in Cristo, la prova sufficiente, sicura per il credente.

I profeti hanno parlato del Messia, del Salvatore di Dio. E mise in atto il suo piano affinché il suo popolo fosse consolato e avesse la pace nei cuori. Purtroppo il cuore dell’uomo è incredulo. Il suo cuore non ha potuto accogliere pienamente questo dono. Dio ha donato un figlio di nome ‘il profeta dell’Altissimo’ perché preparasse le sue vie. Dobbiamo continuare a sperare in lui perché ogni giorno rinnovi questo insegnamento.

Vogliamo ricordare insieme questo evento, testimoniato nel testo di Matteo proposto per questa domenica delle palme e per la prima domenica di avvento, in modo da poter rinnovare la nostra gioia di ricevere il Santo di Dio, nostro salvatore e redentore, e guaritore delle nostre malattie.

Possa la nostra esaltazione del Suo Nome essere più dalla parte di chi si rende conto della sua mancanza di fede. Noi cristiani dobbiamo essere più consapevoli della nostra piena incapacità di adempiere ogni bene in modo da poter testimoniare che Gesù Cristo è stato donato da Dio ed è attraverso di Lui che siamo redenti dai nostri debiti.Riconosciamo Gesù come Re, in un modo che Gerusalemme non ha saputo fare. Dobbiamo sentirci di continuo mortificati da quelle severe parole che ci ricordano la superficialità dei nostri osanna: “Non chiunque dice: Signore, Signore! entrerà nel regno dei cieli, ma chi fa la volontà del padre mio che è nei cieli”. Signore, donaci il coraggio di compiere la tua volontà di amare il nostro prossimo come noi stessi. Così adempiamo tutta la tua legge. Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Amen.

 

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