Pastori e greggi, greggi e pastori

“Voi, pecore mie, pecore del mio pascolo, siete uomini. Io sono il vostro Dio, dice il SIGNORE”. La nostra traduzione è più patriarcale del testo che traduce. Potremmo renderlo così: “Voi siete il mio gregge, voi siete il gregge umano del mio pascolo –  e io sono il vostro Dio, oracolo del Signore Dio.” E’ una forte rilettura della formula “Io sono il vostro Dio – voi siete il mio popolo” che tante volte esprime il vincolo tra Dio e quelli che ha liberato dalla schiavitù. Per Dio, essere Dio significa essere pastore – il popolo è un gregge che si fida del suo Pastore.

Prima di questa solenne conclusione, di questo evangelo per le pecore disperse di Israele e per noi, il profeta dice molte altre cose da parte di Dio.

C’è innanzitutto una dura invettiva contro i cattivi pastori, quelli che il gregge non solo non l’hanno curato, ma lo hanno oppresso  e hanno pensato solo a se stessi: interesse anziché dedizione, sfruttamento anziché servizio. E’ innanzitutto una critica politica: sotto di essa cadono gli ultimi re di Giuda e di Gerusalemme, la loro corte e i loro sostenitori. Sono state le loro scelte sbagliate a provocare la rovina del popolo, come succederebbe se il pastore non si curasse del gregge o peggio lo opprimesse.

L’applicazione del discorso ai capi preme sulla metafora. Se nella pastorizia normale non c’è nulla di male a tosare le pecore per averne  la lana, nel ricavarne latte e da qui latticini, e anche carne, ad un certo punto, le parole del profeta sono già fuor di metafora e mettono al centro dell’attenzione un popolo trascurato, considerato solo nell’interesse di chi dovrebbe esserne pastore, strumentalizzato, angariato e alla fine abbandonato.

Varie volte nella Bibbia – e anche nel mondo intorno a Israele – il pastore è una metafora per il (buon) re.  Davide (2 Sam 5,2) a questo è stato chiamato. Anche il re persiano Ciro è stato unto da Dio (Is 45,1) per essere “il mio pastore” (Is 44,28), cioè un buon sovrano, a quel fine messo sul trono.  Quando i re non sono buoni pastori, il popolo è ridotto a vivere “come pecore senza pastore” (Num 27,17; 1 Re 22,17//2 Cr 18,16).

Anche la dedizione e la fedeltà di Dio sono descritte con l’immagine del pastore, che ha cura del suo popolo: il Dio che “siede sopra i cherubini” è il Pastore che guida Israele come un gregge (Sal 80,1). “Il Signore è il mio pastore, nulla mi mancherà …” (Sal 23) dice anche il singolo …

Non dobbiamo avere del pastore un’immagine sdolcinata, agreste,  da scenetta di campagna con agnellino e pastorella, da pubblicità del “Mulino banco”, Ma nemmeno quella contemporanea: autocarri per spostare il gregge, innocue palizzate elettrificate che tengono unito il gregge senza nuocergli … ai tempi di Ezechiele, per il pastore il  suo gregge era tutta la sua vita, il suo pensiero costante, la sua cura e preoccupazione quotidiana. Per esso doveva non solo faticare, ma anche essere preparato, e sempre pronto … ma anche esporsi, rischiare, a volte la vita …

Sembra esserci una frase stridente,  nel programma di Dio che si presenta a soccorrere le sue pecore: “distruggerò la grassa e la forte:  …” In varie versioni si legge infatti “custodirò la grassa e la forte”. “Distruggerò” potrebbe essere dovuto ad una svista dei copisti, che hanno confuso due lettere molto simili … Ma potrebbe anche essere l’anticipazione di un discorso che viene più avanti, nella parte di testo che è stata saltata. Qui compare – forzando la metafora delle pecore e del gregge – il conflitto all’interno del gregge: non ci sono solo cattivi pastori, ma anche pecore prepotenti che “spingono con il fianco e con la spalla e cozzano con le corna tutte le pecore deboli finché non le hanno disperse e cacciate fuori …” (v. 21). Dio deve non solo condannare i cattivi pastori, ma anche “giudicare tra pecora e pecora” … (v. 22)

I guai del gregge non vengono solo da sopra o da fuori, ma anche da dentro … l’antica metafora del potere regale, del governo monarchico sembra acquistare ancora maggior forza per noi, che nei nostri sistemi occidentali non siamo – o non dovremmo essere – pecore incerte e sottomesse che aspettano guida, ma uomini e donne responsabili che si scelgono i loro pastori … I pastori oggi assomigliano molto di più alle pecore che devono guidare di quanto non avvenisse nella metafora di Ezechiele. Riascoltare le sue parole non ci deve spingere nella canea dell’antipolitica, ma ci deve portare a vedere nella crisi – la crisi delle nostre democrazie rappresentative parlamentari – un momento di giudizio, sui pastori e sulle pecore … Non al lamento o all’invettiva contro altri, “gli altri”, “loro …”, “quelli …”, “i politici …”, ma alla faticosa ricerca della “buona politica”, che è fatta di pecore non prepotenti e di pastori dediti.

La cosa vale anche per le chiese e i loro pastori, a cominciare da chi vi parla … Anche qui la crisi non deve spingere al rimpianto, allo scoramento, alla polemica. In una sola cosa la chiesa differisce dal mondo in cui vive e i cui umori investono anche i suoi membri: essa sa, tanto più nei momenti di crisi, di sbandamento, di fallimento e sì, anche di colpa,  che il suo cammino è guidato dal Pastore con la maiuscola, che può contare sulla dedizione di Dio, che cerca chi è perduto, cura chi è ferito, risolleva chi è caduto, sostiene chi è debole, come corregge chi sbaglia e condanna “chi pasce se stesso” …

Lo sa … dovrebbe saperlo … ma lo dimentica. Le viene però ricordato, da un parola che viene da lontano. Lo fa oggi il discorso sui cattivi pastori e sul buon Pastore che il lezionario prevede per questa seconda domenica dopo Pasqua chiamata da secoli “misericordias Domini”, “le misericordie di Dio”,  “Per sempre voglio cantare le azioni misericordiose di Dio”,  “misericordias Domini in aeternum cantabo” (Sal 89,1 nella nostra versione). Questa parola che viene da lontano – ma anche da alto! – è ciò di cui abbiamo bisogno, pecore smarrite, pecore litigiose, con cattivi pastori, senza pastore, pecore ferite o arroganti. Nella crisi, questa parola ci fa apparire come siamo e smaschera tutte le nostre scuse, e quando ci ha fatto aprire gli occhi ci annuncia la dedizione di Dio per il suo gregge umano, che gli non lascia in preda ad altri e non abbandona a se stesso.

Amen

prof. Daniele Garrone

0 commenti

Lascia un Commento

Vuoi partecipare alla discussione?
Fornisci il tuo contributo!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.