Di fronte al Risorto

Atti 17,32-34
Negli ultimi anni sono uscite diverse indagini sociologiche sulla fede cristiana nella popolazione italiana, oppure tra i giovani. Com’è noto, da tutte queste inchieste emerge che il numero delle cristiane e dei cristiani è in diminuzione e ben presto anche il nostro paese, come già accade in molti altri stati europei, sarà a maggioranza atea o indifferente. Se, però, a questa prospettiva ci siamo volenti o nolenti abituati, perché appunto non costituisce una novità, vi è un dato statistico che, almeno a prima vista, può stupire: tra le persone che si dicono cristiane, una buona percentuale dichiara di non credere che i morti risorgeranno. Si considerano, cioè, credenti in Dio, ma non fanno propria la fede nella risurrezione. Non è un po’ strano, visto che l’attesa della risurrezione dei morti conclude il Credo comune a tutte le chiese cristiane?
Il libro degli Atti ci presenta Paolo impegnato a predicare ai cittadini di Atene, che sono dipinti un po’ come molti nostri contemporanei. Non sono necessariamente nemici della religione, ma sono politeisti: c’è un Dio per ogni cosa, per ogni bisogno religioso. La religione, praticata o mno, caratterizza la città di Atene, ci sono statue e altari un po’ dappertutto. Paolo, in realtà, non è molto edificato da questa situazione: è un ebreo e non sopporta le statue e gli altari degli idoli. Anziché, però, lanciarsi in una polemica contro la religiosità degli ateniesi, fa un tentativo audace. Menziona uno dei molti altari che aveva visto in giro per la città, dedicato: al dio sconosciuto; vedete, dice, alla fine per voi Dio è uno sconosciuto. Ebbene, io ve lo presento, è il Dio di Israele, il Dio di Gesù (che non è mai nominato esplicitamente, ma solo in modo indiretto), il Creatore del cielo e della terra, l’unico, vero Dio. Persino i vostri poeti (cioè la cultura greca: avrebbe potuto aggiungere i filosofi) in qualche modo l’anno intuito, come brancolando nel buio. Paolo vuole essere incoraggiante, anche se forse intende solo rendersi simpatico: siete sulla buona strada per arrivare alla verità, ma l’ultimo passo non lo potete fare voi, lo fa Dio stesso, che vi viene incontro.
Proprio per parlare di quest’ultino passo, tuttavia, Paolo allude a Gesù, come colui che Dio ha risuscitato dai morti. E qui succede il patatrac: la parola risurrezione sembra assurda, superstiziosa. I Greci avevano le loro idee sull’aldilà; il nostro tempo ha le proprie, una delle quali è che non esiste alcun aldilà. In ogni caso, parlare di risurrezione appare balordo: a volte persoino ai credenti, come abbiamo visto a proposito delle indagini sociologiche.
Qual è la radice di questo scandalo? E’ abbastanza semplice. Fin quando si discute se da qualche parte c’è un Dio, se esiste un essere supremo, in fondo si parla pur sempre in generale, in termini che oggi potremmo definire da salotto. E’ il tipo di discorso che piace agli ateniesi, i quali amano, secondo Luca, confrontarsi su questi temi. Se però si parla del Dio che risuscita i morti, la mia immaginazione entra i crisi. Che cos’è la risurrezione dei morti? Come me la devo immaginare? E se non riesco a immaginarmela, vuol dire che si tratta di frottole. Paolo invece vuol dire: il Dio che risuscita i morti è lo stesso che è presente in questo mondo, nella natura, nella storia. Non è il Dio delle statue o degli altari, ma quello che io, Paolo, in questo momento vi annunzio. Gli ateniesi non prendono sul serio il messaggio della risurrezione, perché in realtà non hanno preso sul serio neanche il resto del discorso di Paolo, che non è filosofia (anche se può parlare il linguaggio della filosofia), bensì, come egli stesso dice, annuncio.
La fede cristiana è nata, e anche oggi nasce, quando donne e uomini sono confrontati con il messaggio pasquale: egli, Gesù, non è nel sepolcro, bensì è risorto. Pasqua, cioè, è la chiave per comprendere ogni parola e ogni gesto di Gesù. Poiché Dio ha risuscitato dai morti il predicatore di Nazareth, il suo messaggio, i suoi gesti, la sua stessa persona assumono un significato nuovo e decisivo. Mettere tra parentesi Pasqua, significa mettere tra parentesi il vero significato di Gesù, significa ridurlo a un saggio tra i tantoi della storia dell’umanità.
Che fare allora? Devo sedermi con la testa nelle mani e cercare di convincermi che davvero Gesù è risorto, anche se non ci credo? Oppure devo far finta di crederci, anche se non ne sono convinto? No, le bugie non portano da nessuna parte e quelle a se stessi sono ancora più pericolose di quelle raccontate agli altri. In fondo, anche le donne che hanno trovato il sepolcro vuoto, anche la Maddalena che, secondo alcuni racconti, è stata la prima incontrare il Risorto, anche gli altri discepoli hanno dunitato. Forse le fede nella risurrezione di Gesù, che secondo la Bibbia è l’anticipazione anche della nostra risurrezione, non può essere accolta nel nostro cuore una volta per tutte. Forse la tentazione dell’incredulità si presenta quando meno ce l’aspettiamo. E mi piace pensare che sia per questa ragione che Gesù risorto ripeta così spesso: non abbiate paura! Non abbiate paura, nemmeno della vostra incredulità.
Quello che realmente possiamo fare è uscire dall’atteggiamento di superficiale curiosità che caratterizza gli Ateniesi: sentiamo un po’ che cosa ha da dire costui, facciamo l’ennesimo talk show, l’ennesimo dibattito. Paolo pone di fronte l’azione di Dio: nel mondo e in Gesù Cristo. Quello che possiamo fare è porci di fronte a questo messaggio non come spettatori curiosi, ma come coloro ai quali Dio ha pensato ispirando Luca a scrivere questo racconto. A voi è annunciata oggi la verità di Dio in Cristo risorto. Né l’apostolo Paolo né, tantomeno, io, possiamo convincervi. Accogliete questa parole come una sfida e sostate di fronte ad essa. Il resto, lo farà Dio stesso.
Amen
prof. Fulvio Ferrario
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